E’ impressionante quanto lo scorrere del tempo, continuo e rapido, faccia spesso dimenticare fatti ed eventi solo qualche mese prima sulle prime pagine dei quotidiani, sulle copertine dei rotocalchi, in testa ai trend topic dei social. Era il 6 gennaio e il tempio della democrazia americana veniva invaso da una folla di esaltati aizzati dal Presidente sconfitto alle elezioni svoltesi poche settimane prima. Cinque mesi dopo Donald Trump appare come un vago ricordo, isolato nei suoi campi da golf in Florida, mentre il nuovo Presidente imprime agli Stati Uniti una svolta come neppure la presidenza Obama, col suo carico di simbolismo e di fiducia nel futuro – yes, we can – aveva saputo fare.

Ascoltare Joe Biden mentre espone le sue idee, le sue scelte fa venire in mente il sarcastico appellativo col quale Trump lo denigrava, “l’addormentato Joe”: un eloquio pacato, lineare, razionale. Rivolto più alle menti di quanti lo ascoltano che ai loro cuori eppure al tempo stesso ricco di umanità, ragion per cui non lo si può definire “piatto” o “noioso” perché tale non è, anche se forse lo appare. E certo non lo è nei contenuti.

Ha fatto scalpore a livello mondiale il suo schierarsi in favore del libero accesso ai brevetti per i vaccini anti-Covid, un pugno in faccia all’industria farmaceutica e al settore biotech che probabilmente non si tradurrà in scelte rivoluzionarie perché il negoziato al riguardo in ambito WTO sarà lungo e complesso, ma che ha avuto il merito di porre con forza un problema dell’umanità nel suo complesso, e cioè che senza vaccini per tutti gli abitanti del pianeta non vi potrà essere libertà assoluta dal virus per ognuno nel mondo, inclusi i cittadini dei paesi più ricchi, ancorché vaccinati. Dimostrando così che l’America è tornata, is back: è tornata ad occuparsi dell’intero globo terracqueo. Notizia buona o meno buona a seconda dei punti di vista e delle opinioni, ma comunque una notizia.

Ed infatti la politica internazionale – terreno sul quale il nuovo Presidente si muove con indubbia esperienza – è tornata ad assumere un ruolo rilevante. Iniziando col porre in chiaro a Cina e Russia in primis che il sistema delle democrazie occidentali non subirà passivamente ulteriori loro azioni volte ad allargarne lo spazio – commerciale, militare, tecnologico – condotte in spregio ai diritti umani e politici. Un messaggio duro, a volte anche irriverente (come accaduto con Putin), che mira da un lato a ricompattare un fronte un po’ sfilacciato (appunto invitando l’Europa a una condotta un po’ meno ambigua nei suoi rapporti con russi e cinesi) e dall’altro a rafforzare la “coscienza di sé” dell’America, del suo ruolo nel mondo. Già, perché se è vero che la politica estera non è (quasi) mai stata decisiva nelle scelte dell’elettorato statunitense è anche vero che il caso cinese, nei suoi vari aspetti, comincia a presentare molteplici criticità che generano concrete preoccupazioni: Trump le aveva colte e Biden non le nega, anzi le rafforza.

E’ in questo quadro allargato che allora va considerata l’affermazione sui brevetti vaccinali, così come pure quell’altra – del segretario al Tesoro Janet Yellen – sulla tassa minima sui profitti delle società da concordarsi a livello globale. Un’inversione a “U” rispetto alla politica ribassista di Trump ma anche nei confronti di un andamento storico che ha visto nel tempo una autolesionistica competizione fra i Paesi a ridurre le aliquote fiscali con solo vantaggio per le grandi Corporation e danni certi per le popolazioni degli Stati e per la stessa globalizzazione nei suoi aspetti positivi (esistono pure quelli, nonostante tutto). Altra tematica che richiede, e richiederà, una trattativa internazionale di non facile svolgimento. Ma che, appunto, è di rilevanza globale. Perché è lì, nel mondo, che Biden vuole ricollocare gli USA.