Il sacro è un’idea sorpassata? 

Questo contributo è stato presentato martedì 14 dicembre a un dibattito organizzato a Brescia dal Circolo Cultura Libera sul tema ‘Il sociale e il sacro. Riflessioni sull’ Enciclica ‘Fratelli tutti’, con la partecipazione del teologo Mons. Giacomo Canobbio, della pastora valdese Anne Zell e di Giuditta Serra (Gruppo Donne di Sant’Eufemia). Pubblichiamo la seconda delle quattro parti in cui abbiamo diviso l’intervento del prof. Minella.

La cultura del profitto come unico criterio sociale significativo porta con sé, necessariamente, la devastazione del mondo. E questa devastazione rende la vita alla fine impossibile.

Questa idea è stata una idea ricevuta, quasi un luogo comune, nella grande maggioranza dei filosofi tra Ottocento e Novecento. Accennerò a tre maestri del pensiero occidentale moderno: Marx, Weber e Nietzsche. Tutti e tre condividono la teoria della scomparsa del sacro come destino, ma la tonalità affettiva è diversa: ottimista in Marx che, dalla dissacrazione di ogni sacralità (alles Heiliges wird entweiht, Manifesto) operata dalla borghesia  deriva uno stimolo potente all’affermazione dell’essere umano, attraverso la rivoluzione comunista: si tratta di una tipica ideologia del titanismo moderno, i cui risultati  conosciamo bene. Il secondo maestro è Weber, che in sue due celebri conferenze, pronunciate alla fine della sua vita e riunite in traduzione italiana con il titolo Il lavoro intellettuale come professione, teorizzava con amarezza (non con esultanza, come Marx) il fatto che noi dobbiamo vivere in “un’epoca senza dei e senza profeti”: e questo a causa del processo intellettuale della Entzauberung der Welt, che solitamente viene tradotto come “disincantamento del mondo”, ma che propriamente significa qualcosa come demagificazione del mondo. Questo dettaglio getta luce sulla concezione del sacro che era implicita in questi pensatori: il sacro come magico, antitetico alla scienza. Infine ricordiamo il Nietzsche della Gaja scienza e la sua concezione tragica della morte di Dio, perché la morte di Dio  è legata – e qui sta la genialità di un filosofo per altri versi così discutibile – alla catastrofe dell’essere umano, per così dire alla morte dell’uomo.

Le conseguenze di questa assunzione filosofica, che potremmo definire con Nietzsche come la morte di Dio, sono state diverse, in diverse aree del mondo. Per quanto riguarda il marxismo, o forse meglio il cosiddetto marxismo orientale, il totalitarismo comunista si è affermato  nella prima metà del Novecento e continua a dominare in molti paesi asiatici. Nell’Occidente ricco si è invece affermata dapprima una cultura della modernità (non senza alcune cadute totalitarie in alcuni paesi dalle strutture democratiche più fragili, come l’Italia e la Germania tra le due guerre)  e poi della postmodernità, o ipermodernità, che per molti aspetti decisivi (la democrazia liberale anzitutto) è ben superiore alla cultura del totalitarismo. E tuttavia, dal punto di vista economico-sociale è proprio in Occidente  che sono state  elaborate le  ‘ricette’ che poi, dopo il 1989, sono state assorbite dai paesi dell’Est e che si compendiano in una legge: l’assolutizzazione del mercato come supremo risolutore di ogni problema umano. Ma questa, lo abbiamo visto, è la causa prima della rovina attuale del mondo.   

Quali sono le ricadute  esistenziali di questa impostazione? La cultura post-moderna, finiti i grandi sogni di trasformazione prometeica propri della modernità, ha finito per assumere, talvolta esplicitamente ma per lo più implicitamente, il postulato dell’insensatezza del vivere, avvertito particolarmente dai più giovani: è  una cultura ‘leggera’, ‘aperta’, ‘curiosa’ (viene in mente la fenomenologia dell’esistenza inautentica di Heidegger: chiacchiera, curiosità ed equivoco), che, generalmente individualista, dà per scontata la perdita del legame sociale. La post-modernità rifiuta le grandi fedi (spesso per responsabilità di queste ultime, che sono rimaste legate a una ricezione letteralista dei testi sacri, rifiutando di fare i conti con le grandi conquiste della scienza moderna) come, in genere, i grandi progetti di vita collettiva. Può ritagliarsi delle fedi piccole o minime (ad esempio la ‘fede’ in una squadra di calcio, in un cantante o in un gruppo rock, oppure, a livello collettivo, nel proprio popolo oppresso dalla ‘mondializzazione’, cioè  da altri popoli – ecco le radici del populismo – ecc.). Crede facilmente nei complotti. Cerca un’alleanza tra vittime dei complotti contro ‘i padroni del mondo’. Il suo nuovo ambiente vitale è costituito dai nuovi mass-media – non certo per la loro enorme e positiva capacità di comunicare notizie immediatamente da un capo all’altro del mondo, ma perché colpiscono l’attenzione, sono pieni di breaking news, danno l’impressione di svelare i retroscena nascosti della storia – insomma, di gettare luce sui grandi complotti mondiali.  

Il criterio implicito soggiacente a tutto questo modo di vivere è la ricerca del denaro che, da mezzo per procurarsi piacere, sicurezza, soddisfazione, diventa fine a se stesso,  spazzando via tutti gli altri fini. Che ne è, in questo contesto, delle più grandi conquiste dell’umanità, le arti, le filosofie e le scienze (quest’ultime in particolare sono il  più grande risultato intellettuale della modernità occidentale, non senza anticipazioni o agganci in altre grandi tradizioni culturali dell’umanità)? Mentre le arti e le filosofie sono in genere trascurate o disprezzate, in quanto residui del passato, le scienze vengono in genere accettate (anche se noi oggi assistiamo al dilagare, con una forza imprevista, di superstizioni antiscientifiche che vedono l’appoggio di alcuni intellettuali, protagonisti di una vera e propria trahison des clercs). Ma certo non sono apprezzate  per il loro rigore, per la serietà dell’impegno intellettuale che richiedono, per il controllo pubblico tendenzialmente universale a cui sono costantemente sottoposti i loro risultati, per la qualità delle loro scoperte – ma in quanto sono all’origine della tecnologia,  la quale a sua volta  è in grado di facilitare e promuovere il complesso di scelte di vita implicite, non problematizzate e perciò fortemente pervasive, della cultura di massa. Tecnologia che, a sua volta, è potentemente orientata dal criterio della ricerca del profitto imprenditoriale, che costituisce il criterio di attività socialmente dominante.  

Esistono sicuramente altri criteri sociali, oltre a quello della profittabilità: penso per esempio alle tante forme di generosità sociale, di impegno del proprio tempo senza volere nulla in cambio. Ma si tratta di varianti sociali oggi in grande misura subordinate. 

Ma allora, se ne deve trarre una implicazione: se questa cultura dominante nel mondo contemporaneo è caratterizzata da una presenza ubiqua – la cultura del profitto, della crescita produttiva, della distruzione dell’ambiente naturale, della desertificazione dell’umano – e insieme da un’assenza implicita – l’assenza del sacro, la morte di Dio – allora sarà contro questa cultura che si rivolgerà Papa Francesco. Attenzione: non contro le scienze, che sono sempre un accrescimento dell’esperienza umana – ma contro il cattivo uso delle scienze che la società tecnologica, iperprivatistica, imperniata sulla caccia al profitto può fare e spesso ha fatto. La distinzione tra scienza e organizzazione sociale del mondo è centrale nel ragionamento di Papa Francesco.  

 

Chi è Walter Minella

Walter Minella ha insegnato storia e filosofia nei Licei. Tra le sue pubblicazioni Il dibattito sul dispotismo orientale. Cina, Russia e società arcaiche (Armando, Roma 1994). Ha tradotto dal russo il breve saggio di Varlam Šalamov, Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (Ibis, Como-Pavia 2012) . L’incontro personale e la frequentazione con il vecchio Pietro Prini lo ha indotto a curare il libro postumo del maestro, Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2015) e a scrivere la monografia Pietro Prini (Lateran University Press, Città del Vaticano 2016). Ha curato con altri studiosi: Credere oggi in Dio e nell’uomo. Pietro Prini filosofo del  dialogo tra fede e scienza (Armando, Roma 2018), Etica oggi tra empatia e libero arbitrio (Ibis, Como-Pavia 2019) e L’invasione della vita. Le scelte difficili nell’epoca della pandemia (Mimesis, Milano-Udine 2020).