Berlino assiste al passaggio di consegne da Merkel a Scholz. Parigi è già catapultata nella campagna per le presidenziali. Roma si ritrova al bivio fra la possibilità – unica – di assumere un ruolo primario nella politica europea in questo delicato momento di transizione in virtù del prestigio e delle capacità del suo Presidente del Consiglio.

Se qualcuno immaginava che il Trattato del Quirinale firmato da Italia e Francia avrebbe incrinato l’asse franco-tedesco che da sempre guida la politica europea una risposta l’ha ricevuta già al secondo giorno di cancellierato di Olaf Scholz, speso a Parigi non certo per caso né per pura formalità o cortesia. Ma proprio questo viaggio-lampo dà ragione a quanti, in primis Romano Prodi, giustamente sostengono che ora l’Italia debba lavorare di gran lena ad un patto-bis, proprio con la Germania.

Il momento è perfetto, l’attimo va colto. Il neo Cancelliere deve disegnare, fra le altre cose, la sua idea di Europa e per quanto possa forse essere riluttante a farlo causa le note ritrosie tedesche a divenire il faro dell’Unione generate dal cupo retaggio storico egli non potrà esimersi da questa incombenza. L’eredità lasciatagli dal lungo cancellierato di Angela Merkel del resto è tanto ingombrante quanto prestigiosa, perché è a tutti chiaro chi nell’ultima decade ha dominato politicamente la scena continentale.

Al tempo stesso la contingenza elettorale ha determinato un vuoto (che ci si deve augurare possa essere limitato ad un tempo che in ogni caso si protrarrà per qualche mese) nella conduzione dell’Unione, e realisticamente non si può pretendere che esso venga interamente riempito dalla Presidente Von der Leyen: non per mancanze proprie, tutt’altro; bensì per fragilità strutturale della costruzione comunitaria, ancora imperniata sul potere effettivo degli Stati, e quindi perennemente indefinita, alla ricerca di una prospettiva federalista che si intravvede in lontananza senza comprendere però se è reale o se piuttosto è un miraggio.

Dunque, Berlino ha un nuovo leader dopo sedici anni: un tempo di avvio e di impostazione generale deve essergli evidentemente concesso. Parigi si sta immergendo in una campagna elettorale presidenziale che dovrà testare alla prova del voto popolare francese le ambizioni sovranazionali di Macron. Roma si ritrova al bivio fra la possibilità – unica – di assumere un ruolo primario nella politica europea in questo delicato momento di transizione in virtù del prestigio e delle capacità del suo Presidente del Consiglio e quella al contrario di precipitare nella solita crisi di governo che conduce ad elezioni anticipate teatro di uno scontro fra partiti oggettivamente scadenti.

L’intrecciarsi di queste contingenze nei tre Stati principali dell’Unione, ora che la Gran Bretagna non è più un suo membro, produce un’opportunità unica: ovvero un loro coordinamento stretto, ratificato da appositi Trattati, capace di guidare la UE attraverso gli stretti varchi che gli eventi internazionali stanno determinando: dal nuovo atteggiamento statunitense al rapporto col Drago cinese, dalle migrazioni al cambiamento climatico, dalle questioni di confine territoriale con la Russia a quelle di confine marittimo con la difficile area nord-africana. Nonché capace di affrontare, all’interno di una logica davvero unitaria, consapevole della necessità storica di lavorare ad un destino comune perché così impone la nuova realtà mondiale e perché questo era il mandato storico lasciato ai posteri dai padri fondatori della Comunità europea, tutti quei temi che la pandemia ha clamorosamente e drammaticamente fatto emergere dalla pigra gestione nazionalistica cui ci eravamo conformati: la indispensabilità di una politica comune di difesa; il superamento della rigida e immobilistica regola dell’unanimità su varie questioni primarie, a cominciare dalla politica estera; la riforma in senso solidale – di fatto già anticipata da Next Generation UE – del Patto di Stabilità e delle sue regole ormai superate; l’individuazione delle spese utili per tutti da sterilizzare nei singoli debiti nazionali.

Ora, questa “guida forte” dell’Unione, indispensabile per darle un orizzonte, una prospettiva politica, un futuro, per completarsi necessita di un terzo Trattato dopo quello del Quirinale e dopo quello di Aquisgrana firmato nel 2019 fra Germania e Francia. Un Trattato fra Roma e Berlino. Vi si può lavorare da subito. La contingenza, si è detto, è favorevole. Unica. E non si tratterebbe solo di agevolare un interesse comune ai due Paesi perché le loro credenziali in tema di democrazia, rispetto dei diritti umani, difesa della pace e dello stato di diritto, libertà di pensiero sono tali da garantire il loro ancoraggio in tutta l’Unione, senza compromessi. Un’agenda globale sulla quale anche Washington intende puntare senza riserve. 

Sarebbe un peccato, imperdonabile, se miseri calcoli da politica di serie B, purtroppo nient’affatto impossibili nello scenario italiano, dovessero pregiudicare questa straordinaria opportunità.