In cerca di una teoria del tutto. La portata della recente scoperta della Specola Vaticana nel commento dell’Osservatore Romano.

 

Ancora oggi la fisica rimane alla ricerca di una cosiddetta Teoria del Tutto”, che possa spiegare in modo formale la relazione fra le quattro forze fondamentali finora identificate, ossia: la forza di gravità, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole. Ha scritto Laurent Lafforgue: “La realtà è che la materia è sottomessa a leggi matematiche ma non si riduce a queste leggi. E questo è un mistero. In sé la relazione della matematica col mondo fisico resta un mistero”.

 

Carlo Maria Polvani

 

Ha creato un certo scalpore la notizia della pubblicazione, il 15 aprile scorso sulla prestigiosa rivista «Physical Review», di un articolo nel quale padre Gabriele Gionti e don Matteo Galaverni hanno proposto una nuova comprensione matematica del momento iniziale dell’universo. I media italiani, di solito, non danno molto rilievo ai lavori dei ricercatori della Specola Vaticana; si pensi che si è parlato poco delle recenti scoperte del padre Richard Boyle e del padre Richard D’Souza che aiuteranno la delucidazione dei meccanismi di formazione del Sistema Solare e della Via Lattea. Forse l’attenzione dei media nazionali è stata attratta dal fatto che i lavori di Gionti e di Galaverni hanno a vedere con la teoria del Big Bang, il cui padre fu una figura leggendaria della ricerca scientifica vaticana, monsignor Georges Lemaître. Ma per comprendere meglio la portata della loro scoperta — che si potrebbe riassumere nella loro frase «contrariamente a quanto gli scienziati credono, il riferimento di Jordan e quello di Einstein non sono sempre matematicamente equivalenti» — potrebbe essere utile una contestualizzazione.

 

La fisica è con la chimica e la biologia, una “scienza fondamentale”, in quanto studia la composizione dell’universo, il moto degli elementi che lo costituiscono in termini spaziali e temporali e, infine, le forze e l’energia connesse a tale moto. Tuttavia, la fisica, molto di più della biologia e anche della chimica, possiede la peculiare caratteristica di poter esprimere le sue leggi attraverso il linguaggio formale della matematica. Infatti, molte grandi scoperte della fisica sono state accompagnate dallo sviluppo di strumenti matematici specifici: un buon esempio è il calcolo infinitesimale sviluppato da Newton e Leibniz, nel Seicento, senza il quale non sarebbe stato possibile descrivere i principi della meccanica classica. Grazie a questa strettissima relazione fra la matematica e la fisica, quest’ultima ha potuto fregiarsi del titolo di “scienza esatta”. Ma, al contempo, questa intima connessione è stata anche fonte di dibattiti giacché una formalizzazione matematica ha obbligato i fisici ad armonizzare le loro varie scoperte non solo a livello sperimentale ma anche a livello formale: un esempio significativo al riguardo è il passo compiuto da Maxwell quando, a fine Ottocento, sulla base dei lavori di Faraday, disegnò le equazioni differenziali che illustrarono il collegamento fra il magnetismo e l’elettricità, dando fondamento alla teoria dell’elettromagnetismo.

 

Agli inizi del Novecento la fisica compì due passi da gigante: la teoria della relatività che riscrisse i segreti dell’immensamente grande (correlazione spazio-tempo, costante universale della velocità della luce, fenomeni gravitazionali) e la teoria quantistica che scoperchiò i segreti dell’immensamente piccolo (struttura degli atomi, interazioni e proprietà delle particelle subatomiche, natura dell’energia subatomica). I grandi scienziati che furono protagonisti di questi avanzamenti (Einstein, De Broglie, Dirac, Schrödinger, Curie, Bohr, Pauli, Heisenberg solo per citarne alcuni) nei loro famosi incontri alle Conferences Solvay, si resero presto conto della necessità di fornire una spiegazione matematica che coniugasse le formalizzazioni aritmetiche sulle osservazioni sulle galassie con quelle sulle particelle. Il compito, però, si rivelò difficilissimo.

 

Ancora oggi, infatti, la fisica rimane alla ricerca di una cosiddetta “Teoria del Tutto”, che possa spiegare in modo formale, la relazione fra le quattro forze fondamentali finora identificate, ossia: la forza di gravità (che si manifesta nell’attrazione fra due corpi sulla base della loro massa e distanza), la forza elettromagnetica (che si osserva nell’interazione fra due corpi dotati di cariche), la forza nucleare forte (che garantisce la coesione della struttura atomica) e la forza nucleare debole (che si rivela, invece, in caso di un suo decadimento). Varie strade sono state considerate, ad esempio: la supergravità, la teoria delle stringhe, la cosmologia ciclica uniforme e la gravità quantistica. La matematica dietro ognuna di queste teorie è estremamente complicata; talmente complicata da dover cercare delle convergenze complessissime fra le equazioni usate nei diversi settori. Nel caso della gravità quantistica, questo percorso è talmente arduo da necessitare la formulazione di modelli matematici d’approssimazione; uno di questi è conosciuto come la teoria di Jordan-Brans-Dicke. Gionti e Galaverni hanno dimostrato che, nel contesto delle fasi iniziali del nostro universo, tale avvicinamento matematico non è equivalente a quello della relatività generale di Einstein, aprendo quindi la strada alla ricerca soluzioni alternative e innovative.

 

Non sorprende che la cosmologia (che deve fare i conti con altre realtà nell’universo, spesso prima postulate e solo dopo confermate, quali i buchi neri) sia in questo senso un terreno fertile per testare le teorie che cercano di comprendere l’origine delle forze fisiche che oggi osserviamo come separate. Visto che il nostro universo è in espansione e in raffreddamento, la maggior parte degli scienziati si accordano nel supporre che esso sia sorto con una esplosione. Dopo questo momento iniziale brevissimo, caratterizzato da un calore intensissimo e da una densità altissima, la materia concentrata in uno spazio minuscolo, si sarebbe espansa rapidamente costituendo l’universo attuale e tutto quello che lo compone. Una delle difficoltà nella teoria del Big Bang, però, consiste nel spiegare come questo stato iniziale si sia trasformato per mezzo di un’espansione controllata, evitando così di collassare su sé stesso. Per giustificare questo successo sono state, anche in questo caso, proposte varie ipotesi, fra cui quella della “inflazione cosmica”.

 

Si pensi metaforicamente al lancio di un razzo: è relativamente facile fare esplodere del carburante, ma è estremamente difficile fare bruciare del combustibile in un razzo per lanciarlo su una traiettoria esatta. Molti ritengono che le probabilità di successo del Big Bang fossero molto basse e, soprattutto, che esso fu un momento di singolarità, durante il quale le leggi della fisica sull’infinitamente grande e sull’infinitamente piccolo erano tutte convergenti. Il Big Bang, quindi, sarebbe il punto di origine di tutte le forze fisiche che oggi caratterizzano il comportamento della materia su larga scala e su scala microscopiche, visto che, in quel brevissimo momento, esse non erano ancora differenziate.

 

Detto questo — e tenendo sempre presente che il concetto di Big Bang rimane scientifico e che quindi non andrebbe confuso con quello teologico di creazione — si intuisce perché per i credenti esso incarnerebbe un segno di un’intelligenza superiore, mentre per i non credenti costituirebbe semplicemente l’inizio plausibile dell’unico universo finora conosciuto. Ma per entrambi i credenti e i non credenti, i recenti lavori della Specola Vaticana possono essere meglio inquadrati nella frase del matematico cattolico laureato della Medaglia Fields del 2002, Laurent Lafforgue: «Da un certo punto di vista sarebbe tutto più semplice se il mondo fosse solo una struttura matematica o se la matematica non avesse nulla a che vedere con il mondo fisico. La realtà è che la materia è sottomessa a leggi matematiche ma non si riduce a queste leggi. E questo è un mistero. In sé la relazione della matematica col mondo fisico resta un mistero».

 

Detto in maniera più prosaica, pertanto, fra il linguaggio della fede e quello della scienza, non va sottovalutato quello della matematica.

 

 

Fonte: L’Osservatore Romano, 4 maggio 2022.