In merito alle considerazioni di Giuseppe Fioroni

Sembra, fatalmente, prevalere in agenda la necessità di un’identità da ritrovare in un nobile ritorno al passato

Fra i punti di forza delle considerazioni svolte da Fioroni sul “Problema del PD e la debole risposta di Zingaretti” sul “Domani” di ieri 8 ottobre, va la consapevolezza di una crisi politica non più riconducibile a problemi di competizione interna o di “distorsioni organizzative”. Per Fioroni si tratta, piuttosto, “…di riorganizzare lo schema della politica democratica e riformatrice”. Non è cosa di poco conto, vista la riluttanza del pd nel suo complesso ad affrontare la questione delle cause delle sconfitte degli ultimi due anni

Fra i punti deboli, però, continua ad apparire la difficoltà a tradurre il sacrosanto programma di riorganizzazione della politica democratica in obiettivi concreti e conseguibili. L’opzione riformatrice sembra così  rimanere nel libro delle intenzioni, mentre acquista sempre più peso il richiamo ad un’identità cattolico-democratica (così come spesso appare nei contributi di altri esponenti dei popolari, da Lucio D’Ubaldo a Giorgio Merlo, soprattutto in occasione  di quegli accadimenti – tipo la Padovani a Verona – che più ripropongono problemi di coscienza nel mondo cattolico).

Tutto ciò porta ad accentrare l’attenzione soprattutto sui problemi dell’identità smarrita o della disattenzione che persino alcuni esponenti importanti della cultura cattolica (v. l’intervista di Prodi al Corsera) manifestano parlando della necessaria alleanza di tutte le forze europeiste in occasione del rinnovo del Parlamento comunitario. Sembra, fatalmente, prevalere in agenda la necessità di un’identità da ritrovare in un nobile ritorno al passato, piuttosto che l’elaborazione di quel modello di nuova politica democratica posta come premessa, ma rimasta tale.

Si tratta, invece, di tradurre oggi – per tutti, non solo per i cattolici – la riformulazione dello schema di politica democratica in un nuovo riformismo rigoroso che affronti i problemi:

  • come e perché siamo arrivati ad una situazione così grave da diventare, grazie al populismo più deteriore, di catastrofe imminente;
  • quali sono le cose che non sono state fatte nel lungo sonno democratico del trentennale declino e quali quelle più imminenti da fare;
  • come partire da una inevitabile riforma del sistema e delle procedure di governance centrale e periferico tenendo conto che i partiti classici (in primis i maggiori sconfitti) sono i primi a dover essere riformati, dai meccanismi di acquisizione del consenso alla scelta e alla formazione delle competenze della classe dirigente.

La situazione del Paese è grave e per avere nel partito uno strumento all’altezza della battaglia non basta il richiamo al rispetto delle componenti storiche delle identità di provenienza, né basta, per costituire un’alternativa, la critica puntuale e pungente del governo penta-legato. Serve una grande idea di riforma, a partire dalla politica stessa, serve la Grande Riforma delle Stato, la sua semplificazione, ma anche la rinuncia a  quel rapporto speculare che il PD, più di tutti in Italia, ha intrecciato con la pubblica amministrazione, centrale e periferica, in un processo di occupazione del potere attraverso l’acquisizione del consenso. A una visione programmatica francescana della politica che parta dal sacrificio (del partito in primo luogo) non potrà mancare l’apporto di idee, di tradizione e di partecipazione delle masse cattoliche.