Articolo già pubblicato sulle pagine dell’huffingtonpost

Gli osservatori di politica internazionale individuano nelle mosse più recenti sia di Trump che di Putin un ritorno allo stile, se non ai contenuti, della guerra fredda. A dispetto delle analisi sullo spostamento irreversibile dell’asse geopolitico, non è il Pacifico né l’Estremo Oriente il luogo del conflitto. Il centro torna a essere l’Europa e con essa, in buona parte, l’area dei Paesi del Mediterraneo. La Cina, al momento, non entra in questo gioco.

Ora, appunto, in tale contesto che ricorda da vicino la guerra fredda, un Paese cardine dell’Alleanza atlantica s’impantana nello scandalo – se i riscontri giudiziari dovessero confermarlo – di un partito che traffica con i suoi uomini su possibili commesse petrolifere, avendo come obiettivo l’accaparramento di royalties (ovvero di tangenti) finalizzate all’assalto del potere e alla dislocazione dell’Italia nel fronte anti-sanzioni, dunque in appoggio alle pressanti richieste di Mosca.

Uno scenario inquietante. Addirittura il capo di questo partito, oggi al vertice del dicastero degli Interni, si trincera dietro la cortina fumogena di smentite e divagazioni, pur di fronte a testimonianze a dir poco imbarazzanti.

Salvini da giorni s’arrampica sugli specchi, nega l’evidenza, occulta i fatti, mente a se stesso. Non sente la responsabilità di riferire al Parlamento, né di spiegare quanto meno al partito, ovvero ai suoi organi dirigenti, la versione che considera corretta.

In passato, quando per esempio venne alla luce la rete della P2, il governo si dimise. In quel caso non era in discussione la svendita del Paese a una potenza straniera, ma l’onore delle istituzioni richiedeva un gesto forte e inequivocabile. La Dc, per la prima volta dal 1946, perdeva la guida di Palazzo Chigi.

Andrebbe anche ricordato il gesto di Antonio Bisaglia, colpito dal sospetto di aver favorito da ministro dell’Industria il settore delle assicurazioni. Aveva aumentato per legge i premi e sembrò per questo, in forza della sua attività di assicuratore prima del mandato elettorale, in conflitto d’interesse. Sì dimise, benché il sacrificio fosse ingiustificato.

Altro stile, altri tempi. Cosa dire oggi? Certo, anche se la pubblica opinione è spinta ad attribuire all’intera vicenda il carattere di un’aggressione ben studiata ai danni della maggioranza, resta il diritto delle opposizioni ad avanzare con forza la richiesta di dimissioni del ministro dell’Interno.

Prima di sapere se regge l’attuale compagine governativa – in democrazia nessuno contesta il potere che deriva dal libero consenso dei cittadini – occorre stabilire o ristabilire il principio di irreprensibilità e correttezza nella condotta di un ministro che ha il dovere costituzionale di servire, anche attraverso la scelta dei suoi collaboratori, i superiori interessi della nazione. La Lega è chiamata, in conclusione, a un atto di grande responsabilità nei confronti delle istituzioni.