“Dunque De Mita fu sconfitto. Ma rimase coerente sulle sue posizioni. E lo rimase anche dopo che la tempesta aveva travolto la prima Repubblica”. Così termina la nota, breve ma densa, dedicata al leader irpino scomparso recentemente.

Ciriaco De Mita era un uomo della sinistra della Democrazia Cristiana; proveniva dalla corrente di Base, la più interessante e la più viva sul piano politico e culturale delle articolazioni interne di quel partito. Aveva l’ambizione di rinnovare profondamente la vita interna di un partito appesantito, se non logorato, dall’esercizio ininterrotto del potere dal 1946 in avanti e di imprimere nuovo slancio all’azione riformatrice dei governi, spentasi quasi fin dall’inizio dell’esperienza del centrosinistra.

Il suo dramma fu di assumere la guida del suo partito nel momento più buio della vita della Repubblica, all’indomani dell’assassinio di Aldo Moro e della fine traumatica del percorso politico che era stato disegnato fra la DC, il PCI e il PRI per dare finalmente alla Repubblica un fondamento sufficientemente solido e profondo. De Mita dovette gestire non il rinnovamento dell’azione di governo, ma il ritorno al centrosinistra dopo che questa formula aveva mostrato di essere totalmente esaurita. E soprattutto questo ritorno fu espressione di un’alleanza fra le correnti della DC che avevano osteggiato il disegno di Moro e il partito socialista di Bettino Craxi che di quel disegno era stato un avversario esplicito. De Mita aveva, a partire dal 1987 il sostegno del PRI, dove pure, fino a quel momento, erano prevalse le posizioni favorevoli a un’alleanza organica con il Psi e con le correnti moderate della DC, ma non ebbe mai il sostegno del PCI perché la posizione di Berlinguer si era andata sempre più rinchiudendosi in una sterile opposizione.

De Mita tentò comunque di tenere aperto il dialogo con il Pci, distinguendo il terreno delle riforme istituzionali dal terreno politico, ma come era evidente si trattava di una strada difficilmente percorribile, dal momento in cui il PCI poneva come proprio obiettivo quello della partecipazione piena al governo ed escludeva qualsiasi forma di collaborazione che non vedesse accolta quella sua prima istanza. Il PRI fu contrario a quel tentativo, di cui pure comprendeva il senso politico, perché appariva molto pericoloso aprire comunque un discorso sulle riforme istituzionali che era il terreno scelto dal Psi che si faceva propugnatore di progetti di riforma costituzionale assai più ampi e più pericolosi per la Repubblica.

 

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