Come per il direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, anche nel mio caso Italia-Germania è soprattutto un “relato”, un racconto di seconda mano. Non solo la sfida in Messico, anche quella seguente in Spagna (ricordata soprattutto per i gesti in tribuna di Pertini e l’aplomb del Cancelliere Schmidt). Anzitutto bisogna ricordare che, nel 1970 come nel 1982, era un’Italia diversa. La semifinale messicana, così pazza nel suo andamento per i canoni dell’epoca, rappresentò una “festa mobile”, forse il canto del cigno degli anni del Boom economico. Non si era più nella spensieratezza degli anni’60 e non si era ancora entrati nel vivo della stagione stragista.

Il telecronista, Nando Martellini, era solito chiacchierare amabilmente durante l’esecuzione degli inni nazionali. Come minimo, i “puristi” che oggi imbrattano le statue, ne avrebbero chiesto le immediate dimissioni. Le partite si giocavano ancora nel pomeriggio messicano (notte fonda da noi) per tutelare la salute dei calciatori. La stampa sportiva era mediamente più aggressiva di oggi. La sconfitta (onorevole) nella finale col Brasile di Pelè, fu fatta passare come una vergogna nazionale. Al ritorno della squadra a Fiumicino, i giocatori furono accolti da un lancio di pomodori. Eppure quella era una generazione di fenomeni, come poche altre volte nel Dopoguerra. 

Sul piano tecnico, Italia-Germania è l’incontro delle due più grandi autonomie calcistiche rimaste. Siamo sempre molto preoccupati dall’invasione degli stranieri, ma ci resta difficile capire che quello che conta nel calcio è la forza del movimento, la conferma delle tradizioni. È proprio la conservazione di un modo di essere che salva la qualità e mantiene la forza, anche nei momenti di maggiore dispersione. Ciò è potuto accadere grazie alla solidità dei loro movimenti e delle loro esperienze, e all’insistenza con cui Italia e Germania hanno continuato sempre a giocare a calcio in modo italiano e tedesco. Noi per i tedeschi siamo sempre stati un avversario scomodo, perché non ragioniamo come loro. La Germania gioca più velocemente, massimo due tocchi di palla, ma con ordine. Ed è proprio un gioco ordinato, quello che si aspetta dall’avversario. Gente strana, gli italiani, non giocano mai la stessa partita. È questo che fa soffrire i tedeschi e li ha portati spesso alla sconfitta contro di noi.

La targa commemorativa che campeggia allo stadio Azteca di Città del Messico ricorda Italia-Germania 4-3 come “el partido del siglo”. In realtà, nel secolo XX di incontri assai migliori ce ne sono stati parecchi. Certo, nel 1970 era il trionfo del calcio “all’italiana”, grande difesa e contropiede. Ricordo che, durante gli anni del liceo, andai un’estate in vacanza nel sud dell’Inghilterra per un corso di lingua. Quando mi presentai alla famiglia ospitante, il ‘pater familias’ mi apostrofò così: “Italian football? Oh, just catenaccio”. A quanto pare, non era cambiato molto…