In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’intervista di Antonio Gaspari, al nostro direttore Lucio D’Ubaldo

Cambia la presidenza negli Stati Uniti. Sessant’anni dopo John Kennedy un cattolico sale alla Casa Bianca. Qual è il significato politico di questo cambiamento? Come potrebbe influenzare l’Italia e gli eventuali progetti di cattolicesimo popolare?
“Orbisphera” lo ha chiesto a Lucio Alessio D’Ubaldo, già Senatore della Repubblica, Segretario generale dell’ANCI, Assessore al Personale del Comune di Roma, Presidente di Laziosanità e attuale Direttore de “Il Domani d’Italia” (www.ildomaniditalia.eu).
Biden, cattolico alla stregua di Kennedy, è sulla scena da molti anni e con ruoli importanti, eppure l’opinione pubblica mondiale stenta ad individuarne esattamente il carattere. Cosa si può dire al riguardo? 
Biden sarà un grande Presidente. Lo sarà per gli Stati Uniti e per il mondo intero, perché il suo programma mira a sanare le ferite di una globalizzazione troppo disordinata, per molti aspetti feroce.
A me piace il suo equilibrio: vi si ritrova una sensibilità che in questi anni abbiamo fortemente trascurato, fino a dimenticarne il valore. È il sentire di un politico che accetta il limite, lo vede ad esempio nello sfruttamento delle risorse della terra, ne assume il vincolo come urgenza di un diverso protocollo dell’azione collettiva. Questa umiltà è stata negletta, ora riprende posizione sulla scena pubblica. Con Biden abbiamo l’assicurazione che questa premura diventa precetto, nel senso che il suo rispetto qualifica e determina un largo spettro di azioni.
Una frase mi ha colpito del suo primo discorso: dobbiamo guidare – egli afferma – «non con l’esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio». Frase non solo suggestiva per una certa eleganza di stile, ma anche e soprattutto per un esplicito contenuto morale. Biden non può deludere, sarebbe esiziale per tutti. Anche per chi non lo ha votato.
Su questo sfondo l’asse strategico che unisce gli Stati Uniti e l’Europa ritrova la sua ragion d’essere: da qui passa il futuro dei rapporti con la Russia e la Cina.
Ecco, si annunciano sfide enormi per l’avvenire prossimo e non è trascurabile la notizia di un’America nuovamente consapevole delle sue responsabilità planetarie.
Lei ha fatto cenno all’identità di fede del nuovo Presidente americano. Il tempo post cristiano porta alla luce eventi e figure che rinnovano la testimonianza dei credenti nel mondo. Quando in Italia si parla di cattolici in politica, la mente ci riporta al tempo della Democrazia Cristiana. Al di là delle nostalgie, che cosa di quella esperienza politica e di quegli ideali sarebbe utile riproporre oggi?
Penso innanzi tutto che vada esclusa la spasmodica parodia della Dc, come pure la sua messa al bando, in silenzio o a gran voce, voluta da un’altezzosa “ideologia ghibellina”.
Di fronte al quesito occorre porsi con spirito di umiltà, per far avanzare un pensiero costruttivo. Un fenomeno storico di vasta portata, capace di garantire più di mezzo secolo di sviluppo democratico e civile del Paese, richiede una serena valutazione.
A me non convince la riduzione dell’esperienza scudocrociata a un lungo esercizio tecnico del potere, all’incrocio di vari opportunismi, frutto della rendita di posizione assicurata dalla pregiudiziale anticomunista. E non dobbiamo nemmeno indulgere alla esaltazione di un metodo e di uno stile di governo, come se la quintessenza del “partito di ispirazione cristiana” consistesse nel galateo di un fare armonioso attorno alla composizione di equilibri, interessi, bisogni e quant’altro.
Dietro l’arte della mediazione, funzionale alla tenuta del consenso, c’erano i valori del popolarismo e del personalismo, ovvero l’armamentario culturale di quella “terza via”, irrobustita dalle intuizioni del Codice di Camaldoli, che caratterizza nel Novecento l’ingresso in scena del cattolicesimo politico.
La Dc ha rappresentato il “motore immobile” di un progresso possibile, non già imposto dall’alto, ma imbracato in una regola, semmai, di condivisione e partecipazione. A guidare le scelte era pur sempre il criterio della promozione di un’Italia migliore, più laboriosa e solidale, in sostanza più giusta. Questa lezione non può essere dimenticata.