KAFKA A MOSCA: LE RAGNATELE DEL DISPOTISMO. PUTIN CANCELLA LA LIBERTÀ DI STAMPA E IL DIRITTO D’INFORMAZIONE.

 

L’ultima voce libera del Paese chiude i battenti. Sembra di rileggere una delle terribili pagine de ‘Il processo’ di Kafka dove gli eventi travolgono in uno scenario oscuro e impenetrabile Josef K. Nelle due vicende giudiziarie di Dmitru Muratov e di Ivan Sofromov  si esprime lo strapotere esercitato da Putin e si appalesa in che misura e fino a che punto il suo regime dittatoriale eserciti un controllo sulle istituzioni dello Stato fino a dirigerle e a preordinarne l’asservimento totale.

 

Francesco Provinciali

 

Mentre sul fronte estero Vladimir Putin continua la sua “operazione militare speciale” iniziata il 24 febbraio con l’invasione dell’Ucraina e proseguita con una strategia di devastazione totale con città rase al suolo, bombardamenti, stragi di civili e deportazione di donne e bambini, tanto da meritare l’accusa per crimini contro l’umanità, e pilota il ricatto internazionale sul gas allo scopo di stendere al tappeto l’Europa, sul versante interno,  per stringere in un sol pugno la Russia e gestire il regime spegnendo ogni voce di dissenso e opposizione, decide di infliggere un durissimo colpo alla libertà di stampa e al diritto di informazione, “distruggendo Novaya Gazeta” per usare un’espressione del suo direttore Dmitru Muratov, premio Nobel per la pace e con Mikhail Gorbaciov fondatore del quotidiano.

 

L’ultima voce libera del Paese, chiude i battenti per decisione del Tribunale distrettuale Basmanny di Mosca, con sentenza della giudice Olga Lipkina, dopo trent’anni di attività giornalistica. “Oggi è stato ucciso un giornale e sono stati rubati trent’anni di vita ai suoi dipendenti. Ai cittadini è stato tolto il diritto di informarsi e sono stati ammazzati per la seconda volta i colleghi già uccisi da questo Stato per aver fatto il proprio dovere: Igor Domnikov, Yuri Schecochikhin, Anna Politkovskaja, Stanislav Markelov, Anastasia Baburova, Natalya Estemirova, Orkhan Dzhemal”, scrive lo stesso Muritov in un editoriale pubblicato all’estero.

 

Una sentenza annunciata di “revoca della libertà di stampa” e di fatto la chiusura definitiva della testata,  che attendeva da tempo solo di essere scritta e che certamente riporterà nel dispositivo motivazioni assurde e pretestuose, a dimostrazione che anche gli organi giudiziari sono totalmente asserviti al volere dell’uomo solo al comando e del suo, per ora fedele, entourage di oligarchi e di yes man.

Nello stesso giorno, altri giudici di un diverso tribunale moscovita hanno condannato a 22 anni di carcere duro per “alto tradimento” Ivan Safronov, già giornalista del quotidiano Kommersant e della rivista Vedemosti, specializzata in industria spaziale e militare, nonostante l’FSB (Servizio Federale di sicurezza succeduto al KGB) non avesse portato lo straccio di una prova per circostanziare l’atto formale di accusa, essendo liberamente consultabili in internet i “segreti di Stato” che l’imputato Safronov aveva pubblicato in un articolo.

 

Sembra di rileggere una delle terribili pagine de ‘Il processo’ di Kafka dove gli eventi travolgono in uno scenario oscuro e impenetrabile Josef K. senza una motivazione e senza un processo in cui difendersi: l’unica differenza rispetto al romanzo è che nei due tribunali i processi sono stati formalmente celebrati secondo le prevalenti liturgie della pubblica accusa e con le sembianze grottesche di una farsa distruttiva e delle connesse messinscene.

 

Nelle due vicende giudiziarie di Dmitru Muratov e di Ivan Sofromov  si esprime lo strapotere esercitato da Putin e si appalesa in che misura e fino a che punto il suo regime dittatoriale eserciti un controllo sulle istituzioni dello Stato fino a dirigerle e a preordinarne l’asservimento totale. Nulla filtra all’esterno senza il controllo degli organi politici e del FSB, ora sarà ancora più agevole mistificare la realtà e divulgare al popolo e al mondo le informazioni che si vogliono far passare.

 

Questo accade a pochi giorni dalla scomparsa di Gorbaciov che di Novaya Gazeta era stato fondatore con Muratov ed aveva condiviso con lui l’onore del Premio Nobel. Il quotidiano peraltro aveva già deciso di sospendere la pubblicazione dal 28 marzo scorso (per ora nella versione cartacea ma certamente la stessa sorte toccherà al magazine on line Novaya Gazeta Europa, edito da una parte della redazione rifugiata in Lettonia), a motivo delle pressioni esercitate dall’Agenzia statale russa delle comunicazioni, quella Roskomnadzor che aveva chiesto al Governo di chiudere la testata, soprattutto per tappare la bocca all’informazione del dissenso rispetto alla versione ufficiale della guerra in Ucraina. Quanto alla condanna inflitta a Safronov essa richiama alla mente le numerose purghe del regime a cominciare dalla lunga persecuzione giudiziaria subita da Alexey Navalny, sbattuto nella patria galera di massima sicurezza di Melekhovola, spesso in isolamento e prima fatto oggetto di un tentativo di avvelenamento da Novicok, una tossina in dotazione ai servizi segreti russi.

 

Le notizie che grazie alle voci di dissenso filtrano tra le maglie del FSB e giungono al mondo occidentale dovrebbero indurci ad una meditata riflessione e possibilmente convincere gli scettici, i  filoputiniani e gli utili idioti – come li definisce in un pungente editoriale Nathalie Tocci – su La Stampa, a ragionare sulle evidenze e sui fatti, depurati da pregiudizi e dietrologie.