Dopo la stagione del populismo, del trasformismo politico e parlamentare e dell’opportunismo di governo, forse è arrivato il momento per il ritorno della politica. E, di conseguenza, dei partiti. Certo, non c’è alcuna regressione nostalgica nè alcuna tentazione restauratrice nel fare queste affermazioni. Ma è indubbio che, con il lento tramonto, purtroppo solo politico e non ancora elettorale, del grillismo è gioco forza che la politica torni ad essere protagonista, dopo una lunga ed oscura stagione dominata dall’ideologia dell’”anno zero”, cioè da una prassi che è stata brutalmente ispirata alla concezione di radere al suolo tutto ciò che era minimamente riconducibile al passato. E quindi, la politica, i partiti come strumenti politici organizzati e, soprattutto, le culture politiche di riferimento. L’eclissi del grillismo, vero artefice di questa degenerazione e di questi disvalori, favorisce indubbiamente questo ritorno democratico e costituzionale. E, al contempo, potrebbe rappresentare una spinta decisiva per il superamento definitivo di un’altra deriva, quella dei partiti personali o del capo e dei partiti come banali ed insignificanti cartelli elettorali. Insomma, tutto ciò che ha caratterizzato, in negativo, la politica italiana in questi ultimi anni e che si potrebbe sintetizzare con alcune parole d’ordine dei principali protagonisti: dal “vaffaday” grillino, alla “rottamazione” renziana”, dall’”anno zero” della politica italiana alla “discesa in campo” del capo. Elementi che non potevano non avere come epilogo finale quello della distruzione del partito politico da un lato e della cancellazione delle culture politiche dall’altro.
Ora, nessuno pensa di ripetere o di riproporre meccanicamente le esperienze del passato ma è indubbio che senza il ritorno di una “democrazia dei partiti” seppur in chiave contemporanea, sarà la stessa democrazia a subirne un contraccolpo di credibilità e di autorevolezza. E soprattutto di ruolo e di funzione. E, ancora meno, secondo la vecchia vulgata della sinistra ex o post comunista, nessuno pensa di trasformare il partito nel fine dell’azione politica. Ma senza la presenza democratica dei partiti, si deve prendere amaramente atto che la stessa partecipazione politica è soffocata e non è più possibile organizzare democraticamente la stessa società. Dopodichè è altrettanto necessario garantire anche una organizzazione democratica all’interno dei partiti stessi. La stagione del partito personale o del capo, al riguardo, è stata semplicemente devastante. E va archiviata al più presto. Sotto questo versante, l’inizio della gestione Letta nel Pd non può che essere salutata positivamente e con incoraggiamento. Come ovvio, non credo che nessuno pensa al “partito pesante” che tutti abbiamo conosciuto e sperimentato nella cosiddetta prima repubblica. Ma è altrettanto chiaro che solo con un forte e motivato coinvolgimento della articolazione periferica del partito e con un riconoscimento non solo formale della collegialità all’interno stesso del partito, sarà possibile invertire la rotta.
Probabilmente, siamo solo agli inizi di questa nuova stagione della politica italiana. Ed è proprio in questa cornice, e a maggior ragione, che la cultura cattolico popolare e cattolico democratica può e deve dare un contributo decisivo. Perchè, alla fin fine, è forse l’unica cultura politica che ha mantenuto negli anni sempre una coerenza di fondo e che, a tutt’oggi, dispone di un giacimento di valori e di principi che non possono essere banalmente archiviati o storicizzati. Purchè non subisca più le sbandate di un recente passato quando, per ossequio ad una maldestra e dubbia modernità, ha sposato anch’essa e per la sola convenienza del potere – almeno molti dei suoi esponenti di punta – le sirene di chi azzerava alla radice la storica cultura dei cattolici democratici e popolari. Mi riferisco, nello specifico, alla lunga stagione del renzismo e di tutto ciò che ha comportato per la politica italiana e anche per la cosiddetta cultura di riferimento. Ma quella, forse, è una pagina già archiviata e consegnata alla storia. Adesso si tratta di “guardare avanti”. Possibilmente senza altre derive ed involuzioni.