Per l’intera stagione della cosiddetta prima repubblica e buona parte della seconda almeno per la fase iniziale, la politica estera è sempre stata la “bussola” che orientava le scelte concrete dei vari governi che si sono succeduti. Certo, era un’altra epoca storica e politica. E altri erano i temi al centro dell’agenda. Ma tutto ciò cambia poco. E’ perfettamente inutile tracciare confronti e parallelismi. La politica estera era, è e rimarrà sempre centrale per misurare la credibilità, l’orientamento e l’autorevolezza del governo. Ed è su questo versante che, oggi, noi registriamo purtroppo una radicale dissociazione di metodo, di merito e di contenuto rispetto al passato. Anche solo recente. 

Su questo versante, piaccia o non piaccia, è doveroso fare almeno due osservazioni. 

Innanzitutto la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente e di chi ridirò riva il ruolo di Ministro degli Esteri. E’ inutile fare i nomi. Da Fanfani a Moro, da Andreotti a Emilio Colombo, da De Michelis a D’Alema l’elenco potrebbe essere lunghissimo. Si trattava di personalità e di leader politici stimati e riconosciuti all’estero ma, soprattutto, di politici e statisti che, partendo dal proprio paese, sapevano orientare e condizionare la politica estera ed internazionale perché avevano una visone politica di insieme e sapevano indicare una strada per affrontare e risolvere le controversie che, di volta in volta, si affacciavano all’orizzonte. E avevano una strategia di politica estera chiara, coerente e percepibile dagli altri partner europei e mondiali. 

In secondo luogo la politica estera non era un optional, un diversivo saltuario ma, al contrario, il dato costitutivo ed essenziale del progetto di governo di ciascuna forza politica. Di quella coalizione e di quella alleanza politica. Non a caso, qualunque convegno, assise, dibattito o confronto politico dei partiti – quando esistevano ancora, com’è ovvio, e non erano meri cartelli elettorali o il banale prolungamento delle fortune esistenziali del capo di turno – si apriva sempre con una panoramica sulla politica estera e sulle concrete ripercussioni che queste potevano avere sulla politica nazionale. 

Tutto ciò, oggi, semplicemente non esiste. E, non a caso, la politica estera la si affronta solo ed esclusivamente quando l’emergenza la impone. E, nel frattempo, continuano a dominare il dibattito politico sulle eterne rendicontazioni dei deputati 5 stelle con un protagonismo assoluto dell’attuale ministro degli Esteri nel districare l’intricata matassa; la soglia di sbarramento della futura legge elettorale e, soprattutto, la pianificazione del cronoprogramma del governo. Sulla politica estera c’è tempo… 

Ecco, il cosiddetto “cambiamento” della politica, come ormai abbiamo capito un po’ tutti, non passa dalla propaganda massimalista, demagogica e populista degli opposti estremismi. Ma da un recupero, seppur attualizzato, della grande lezione del passato. Quella che diceva, molto semplicemente, che la politica estera era il perno essenziale e decisivo di qualsiasi governo e di qualsiasi strategia politica. Almeno in Italia.