La crisi dei partiti: la base si assottiglia, i leader politici eletti da pochi. Editoriale su “santalessandro.org” (diocesi di Bergamo).

Partiti da eliminare – si chiede l’autore – come gli inutili capannoni dell’archeologia industriale? Comunque si nomini l’ente mediatore, di mediazione c’è urgenza.

Giovanni Cominelli

Non c’è articolo di giornale o tweet o FB che spenda a loro favore una parola buona: sono vuoti, sono fragili, sono pulviscoli di correnti personali, sono incapaci di generare classe dirigente, sono oligarchici, sono scatole nere… Soffrono di una bassissima reputazione pubblica. Eppure, i partiti sono i protagonisti assoluti della vita istituzionale del Paese. Scelgono il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica, i Ministri, i Parlamentari, i Consiglieri regionali e Comunali e un sacco di postazioni istituzionali nell’Amministrazione pubblica, nell’economia, nel sistema bancario…

 

Sono il luogo del potere. Il livello degli iscritti è precipitato verticalmente, da qualche milione a qualche centinaio di migliaia. Ma questa infima minoranza di cittadini elegge dei leader, i quali selezionano/propongono/scelgono direttamente i parlamentari con tutto quel che segue.

Vero è che, fino ad ora, è la maggioranza dei cittadini-elettori che li vota, in base alla legge elettorale n.165 del 3 novembre 2017. Ma è anche vero che, una volta entrati in Parlamento, i deputati/senatori ritornano sotto la sovranità dei rispettivi partiti. Giovanni Sartori aveva ben presente i meccanismi oligarchici di selezione interna dei partiti, ma concludeva, con rassegnato realismo, che la democrazia era, tuttavia, garantita dalla pluralità dei partiti oligarchici, in forza di un’eterogenesi dei fini, per la quale un insieme di partiti a-democratici produce la democrazia. E tanto gli bastava. 

I leader politici scelti da pochi: la contraddizione si aggrava.

Eppure la contraddizione sussiste e si aggrava. I cittadini-elettori non si limitano più a brontolare, mentre si recano alle urne; stanno incominciando a disertarle. Ma l’aspetto più grave è che la mala-reputazione dei partiti si trasferisce fatalmente sulla politica e, peggio ancora, sulle istituzioni rappresentative e di governo, cioè sullo Stato. Così che la reputazione/fiducia di cui gode Draghi si deve non solo al fatto che sta governando bene, ma anche al fatto che è al di sopra e al di fuori dei partiti. E, forse, il primo fatto è ritenuto controprova positiva e conseguenza quasi automatica del secondo.

Sulle cause di questa decadenza/degrado/svuotamento dei partiti la letteratura è in crescita esponenziale. Non esiste una causa sola. Chi dà la colpa alla Magistratura, che, a partire da Mani pulite, ha messo sotto scacco i partiti. Chi ai cambiamenti sociali imponenti, indotti dalla globalizzazione, che ha scardinato la base di classe della rappresentanza, per la quale gli operai votavano a sinistra, i ceti medi DC e PRI, “i padroni” PLI. Chi dà la colpa al degrado del sistema educativo, che ha provocato una caduta della qualità del discorso pubblico. 

Il web ha cambiato il modo di esprimere interessi e valori.

Chi attribuisce la responsabilità della crisi dei partiti ai Cellulari e a Internet, che hanno cambiato radicalmente le modalità di relazione tra gli esseri umani. Vero è che se la tripla elica – passioni, interessi, valori – è la costante di Planck dell’antropologia, le modalità di espressione di passioni, interessi e valori sono fortemente mutate negli ultimi vent’anni con l’irruzione delle nuove tecnologie della comunicazione. È totalmente cambiato il rapporto con le dimensioni del tempo e dello spazio: solo l’evento presente conta e, da subito, su scala globale. 

Velocità e viralità delle reazioni. Che questa caratteristica abbia segnato il modo della rappresentanza nella società civile e nella politica e, inevitabilmente, i suoi contenuti è un fatto. In ogni caso, le cause sopraelencate hanno generato delle onde, che hanno demolito gli organismi civili e politici di mediazione tra il magma incandescente degli interessi/pulsioni/passioni degli individui da una parte e, dall’altra, la società civile e lo Stato.

Nell’agorà dell’infosfera ci sono fazioni, non partiti.

Gli individui si sono presentati ad alta voce, capaci di parole proprie, sulla scena pubblica – sociale, civile e statale – dotati del loro corredo di passioni, interessi e valori, così come essi sono vissuti, grezzi e immediati, aggirando Sindacato, Confindustria, Confcommercio, Partiti e Associazioni, Chiesa e Parrocchie ecc… Il primo livello di mediazione, di screening e di addomesticamento degli interessi, che nelle società civili complesse si realizza già a livello del “sistema dei bisogni” è saltato.

La società civile si è rovesciata come tale nella vociante e rissosa agorà ateniese, nella quale, appunto, la democrazia era diretta, benché riservata a pochi. Nell’agorà dell’Infosfera non ci sono partiti, ma fazioni legati ad una persona. La saldatura tra interessi di singoli e il leader è immediata, ma anche provvisoria e reversibile. La storia greca della seconda metà del 400 a. C. offre l’esempio illuminante dell’ateniese Alcibiade. Più di un Alcibiade nostrano ne ha calcato le orme in questi nostri anni.

C’è però una differenza tra il malfunzionamento della mediazione che accade tra gli individui e le istituzioni della società civile rispetto a quella tra società civile e stato. Consiste nel fatto che i partiti non sono soltanto mediatori tra società civile e Stato, sono anche un’articolazione fondamentale dello Stato politico: sono terminus a quo, ma anche terminus ad quem. Lo sono per storia e per Costituzione.

 

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