Il PD è in agonia? Dagli editoriali soprattutto dei quotidiani di centrodestra sembrerebbe di sì.
Certo, ormai anche la maggior parte dell’informazione di questo Paese è schierata da una parte o dall’altra per influenzare politicamente il cittadino comune. Ma questo non è un ben servire né l’informazione corretta (anche se si è parte politica), né quella lealtà verso una società che sceglie l’una o l’altra tendenza secondo i propri principi e i propri orientamenti politici.

E pur tuttavia, non è un mistero se si affronta la crisi del Partito Democratico riferita all’atto della sua fondazione. Il leader di allora, Walter Veltroni, vagheggiava la costituzione di una sorta di formazione politica all’americana sull’onda del Partito Democratico statunitense, con una democrazia bipolare a sistema maggioritario e con il riconoscimento delle lobby così come avviene negli USA.

Va da sé che una simile visione del sistema politico non solo è estraneo alle inquietudini, alle esigenze ed al modo di pensare della società italiana, ma legittima in maniera soffusa la rinuncia a valori e ideali di fondo. Ma senza valori e senza ideali non si può far politica, perché si scende nel burocratismo, nel cinismo, in una sorta di semplice amministrazione dell’esistente lontana anni luce dal sentimento e dalle aspettative della società italiana che nell’ultimo ventennio ha subito umiliazioni e ristrettezze economiche mai verificatesi negli anni della Repubblica.

Un Partito dunque, quello Democratico, che nasce come Partito di Governo (e dunque di potere), che incamera e somma culture politiche diverse e che, proprio per questo, obbligatoriamente, deve rinunciare ad uno specifico riferimento identitario.
Se si analizzano, infatti, le vicende del Partito Democratico, si coglie un aspetto non secondario che rappresenta il germe originario della crisi: l’assoluta mancanza di valori forti di riferimento attraverso quella deideologizzazione della politica che porta necessariamente con sé la perdita di valori.
Un Partito ideato e fondato in funzione antiberlusconiana che ha come compito essenziale della sua azione la conquista ed il mantenimento del potere.

In quest’ottica si inseriscono anche alcune valutazioni di Pierluigi Castagnetti, il quale, soltanto qualche anno fa (Il Domani d’Italia 20 aprile 2019), riteneva definitivamente chiusa la vicenda del popolarismo e dei cattolici democratici, ma soprattutto quella del Partito ad ispirazione cristiana, arrivando a sostenere di “non credere all’opportunità di dar vita a una forza politica a ispirazione religiosa”. Rincarava quindi la dose: “Sono convinto che se Sturzo e De Gasperi fossero ancora tra noi ci spronerebbero a inventare scenari e soggetti inediti”.

Non sembra, quest’ultima, una lucida visione degli avvenimenti politici che si sono consumati negli ultimi anni e che oggi giungono al capolinea: un Partito Democratico che rincorre il populismo grillino è un Partito allo sbando, senza più neanche un briciolo di sapienza politica. La principale cosa che interessa è l’essere al Governo del Paese, costi quel che costi, con i soliti noti, con correnti e sottocorrenti che vivacchiano grazie alle pretese di un capo che crede di essere eterno e, soprattutto, che senza la sua presenza finisce la stessa politica.

Altro che chiacchiere da bar allora! Il delirio di onnipotenza è arrivato al punto di far credere che senza il capo riconosciuto ed insostituibile, non vi sarà futuro per quella parte di “cattolicesimo democratico” che vivacchia nel PD e che si alimenta distribuendo posti di governo e di sottogoverno ad amici in funzione del restare sempre a galla.
Luigi Granelli, un popolare intransigente, amava ripetere, citando Aldo Moro, che prima di essere credibili nel Governo, bisogna essere credibili nella società.