Mentre si diffonde un certo malumore della pubblica opinione, il braccio di ferro nella maggioranza non cessa di produrre un effetto di distanziamento tra le varie componenti del governo. Più si cerca di banalizzare la crisi, riducendola a una partita di ambizioni personali, più diventa complicato il gioco delle soluzioni. Il dato incontestabile è che la baldanza di Conte ha perso la sua maggiore virulenza, tanto da far trasparire quella debolezza politica che gli osanna del Pd avevano nascosto fino ad ora.

In una recente intervista a formiche.net, l’ex dirigente socialista e sempre lucido osservatore politico, l’ultra novantenne Rino Formica, accosta la figura di Conte a quella di Tambroni. Non usa mezzi termini: il problema, a suo dire, è come si debella l’eccentrica protervia dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi. “Dobbiamo richiamarci – sostiene Formica – ad un solo esempio di resistenza di un capo del governo a fare da sé, al di fuori delle forze politiche che lo avevano espresso: Tambroni, che poi fu licenziato non solo dalla resistenza della sinistra. Quella sua velleità a fare da solo fu stroncata da Moro. C’era un sistema politico molto forte dove la Dc si assunse la responsabilità di licenziare un suo presidente del Consiglio. Quindi si torna alla questione di partenza: in caso di grandi crisi un sistema robusto la risolve se ha gli anticorpi giusti. In caso contrario, quella crisi porta al decesso”.

In questo quadro l’azione del principale antagonista di Conte, vale a dire Matteo Renzi, si fa più nitida e incisiva. Anche lui non usa mezzi termini. Ieri ha smentito – forse obtorto collo, ma non importa – di essere interessato a un suo ritorno al governo. Invece, sempre ha proposito di Conte, si è espresso con quella freddezza che di solito accompagna la comunicazione di licenziamento. Prima l’accordo sui contenuti, poi la verifica sul ruolo di Conte: un modo neppure troppo velato, questo di Renzi, per consacrare con ritrovato piglio da rottamatore una ipotesi di defenestrazione. La crisi, dunque, rimane complicata e al fondo minacciosa. Può anche chiudersi con un semplice rimpasto, ma non è detto che ad esso subentri una prospettiva di reale pacificazione.

Cadde la testa di Tambroni, infine può cadere quella di Conte.