Il crollo delle nascite non è un problema tra gli altri, ma l’epicentro di tutti i problemi. È la vera emergenza del Paese. Dobbiamo allungare lo sguardo e ricostruire un’idea di futuro. Aiutare i giovani, sostenere le nuove coppie, incrementare i servizi: questo è l’unico orizzonte che abbraccia la formazione di una politica in senso alto, come attendibile impostazione per una strategia di crescita e di progresso.  

Il tema trascurato e preoccupante della demografia italiana, torna alla ribalta nei media solo quando l’Istat rassegna il suo disastroso resoconto di come vanno le cose in Italia. È successo anche stavolta con i numeri della denatalità di quest’anno: meno 12 e 500 mila dei nati, già nei primi nove mesi del 2021, rispetto al 2020. Il dato certamente si è accentuato con la pandemia, ma già la tendenza  da molto tempo, progressivamente si è incrementata negativamente. 

Il numero medio di prolificità delle donne di cittadinanza italiana nel 2020 è stato di 1,17,  il dato più basso mai registrato in Italia per coppie di genitori entrambi italiani. Si spiega così, ovvero con 360 mila nati quest’anno, dunque 160 mila in meno rispetto al 2008. Intanto, alla conclusione in questi ultimi giorni del 2021 giungeremo al dato che da solo indica il declino: gli italiani saranno appena meno di 59 milioni segnando plasticamente il ritorno all’indietro di tantissimi anni dopo che avevamo raggiunto 12 anni fa i 60 milioni. Non poteva che andare così, con meno famiglie che si formano stabilmente, con donne che in media diventano madri per la prima volta ad oltre 30 anni. Ed intanto gli analisti ci mettono in guardia riguardo al tracollo demografico che avremo nel prossimo futuro qualora i fattori elencati non dovessero modificarsi, con conseguenze che si manifesteranno già nel 2050 con indici di nascituri pari alla meta dei morti. 

In una condizione tale, se volessimo riassumere ogni guaio italiano e capirne le conseguenze gravissime a cui saremo inesorabilmente condannati, il nostro repentino cambiamento demografico lo testimonia con efficacia. Infatti le tendenze che discutiamo hanno molte origini, a partire dal tenore di vita, dalla cultura dominante che ha stravolto i valori su cui poggiavano i comportamenti delle persone, dalla paura del sovrappopolamento globale. Ma questo andamento è anche spinto dai comportamenti della politica e dei governi che non ritengono popolare avere lo sguardo lungo e preferiscono occuparsi dei temi più spiccioli del momento. Dobbiamo essere consci che il prezzo di questa superficialità può diventare molto alto, con conseguenze nefaste per il futuro prossimo. A metà di questo secolo, riducendosi sensibilmente gli indici demografici di una decina di milioni di persone, ad esempio non avremo quante professionalità occorreranno per mantenere sufficienti produzioni e i servizi; il patrimonio abitativo privato perderà valore, le infrastrutture e i servizi pubblici costeranno di più a causa della sfavorevole economia di scala; il sostentamento del welfare avrà notevoli problemi per il numero esiguo di occupati versanti contribuzioni per la platea più vasta di pensionati con aspettativa di vita più alta. 

Insomma è insensato far finta di niente ed occorrerà fare molto per riconquistare un equilibrio tra nascite e morti. Lo si può fare nel lavoro conciliandolo meglio con i progetti genitoriali delle giovani coppie, sostenuti da misure fiscali ad hoc per imprese e genitori per politiche virtuose a favore di questi obiettivi; implementando la disponibilità di asili nido ed asili d’infanzia gratuiti; progettando il rilancio della buona economia e dunque rassicurando le giovani coppie con figli con redditi più alti si potrà concorrere a correggere la tendenza negativa che discutiamo. Insomma bisogna concludere la fase sciagurata di distribuzione di bonus pubblici per assecondare consumi frivoli e concentrare sostegni di grande valore e prospettiva come la difesa della natalità e la protezione  dello sviluppo demografico.