1 L’urgenza del tempo

 

L’Enciclica Fratelli tutti, al di sotto di un dettato di ammirevole chiarezza, presenta alcune radici teologiche, filosofiche e storiche molto profonde,  talvolta solo accennate. La teologia di Papa Francesco, a nostro parere, è espressione di un’apertura fondamentale: la fede si incarna, si incultura nella storia, esce dall’autoreferenzialità,  si apre a un dialogo ravvicinato, a un confronto serrato con le culture contemporanee, e quindi anzitutto con le scienze,  e così facendo provoca le  scienze ad aprirsi alla possibilità di una dimensione ulteriore o trascendente.   

Alcune avvertenze preliminari. Ricordiamo anzitutto che Fratelli tutti è la seconda parte di un dittico, la cui prima parte è costituita dalla Laudato si’.  Il tema comune delle due Encicliche è la drammaticità del periodo storico che stiamo vivendo, l’urgenza di porre riparo alle catastrofi che stanno avvenendo sotto i nostri occhi per lo più distratti. Per sottolineare le peculiarità di questo pensiero lo si potrebbe definire come una sorta di apocalittica razionale aperta al futuro: un’apocalittica perché mette a fuoco le possibilità catastrofiche insite nel periodo in cui stiamo vivendo; razionale  perché si avvale dei contributi delle scienze, anzi si sviluppa a partire da questi (mentre l’apocalittica mitica ne prescindeva totalmente); e infine aperta al futuro perché  governata dalla speranza, la ‘sorella minore’ della fede e della carità. Nella prima Enciclica l’oggetto principale era la devastazione contemporanea della natura, che si ritorce contro tutti noi esseri umani, adesso e ancor più nel futuro (che mondo lasceremo ai nostri nipoti?); nella seconda è la crescita spaventosa delle disuguaglianze nel mondo. Laudato si’ non si limitava a raccogliere e rilanciare le analisi inquietanti  di naturalisti, biologi ed ecologisti sullo stato del mondo, ma le combinava con una serrata analisi critica del modello di globalizzazione economica oggi prevalente. Tale analisi culminava nella proposta di una vera e propria alternativa di civiltà, relativa tanto alle relazioni degli umani con la  natura quanto ai rapporti tra gli umani. E’ quest’ultimo l’oggetto precipuo di Fratelli tutti, che si concentra sulla possibile fioritura, al tempo della globalizzazione, di una civiltà mondiale fondata sull’amore e sull’empatia, e insieme analizza le resistenze culturali, politiche, istituzionali e anche religiose che si oppongono a tale progetto. I sette capitoli di questa Enciclica possono  essere suddivisi in due parti: i primi cinque (Le ombre di un mondo chiuso, Un estraneo sulla strada, Pensare e generare un mondo aperto, Un cuore aperto al mondo(1) intero, La migliore politica) sono relativi prevalentemente alla fraternità universale in senso proprio; la presentazione generale (§1-8) e gli ultimi tre capitoli (Dialogo e amicizia  sociale, Percorsi di un nuovo incontro, Le religioni al servizio della fraternità nel mondo) sono invece prevalentemente concentrati sul dialogo interculturale e interreligioso. Questi due temi, che potremmo definire fraternità universale ed ecumenismo, sono  strettamente intrecciati, ma non identici. Per ragioni di chiarezza e di spazio affronteremo in  questo intervento la prima parte dell’Enciclica,  sulla fraternità universale in senso proprio,  e dedicheremo un ulteriore intervento alla seconda parte, sull’ecumenismo religioso e il dialogo interculturale nel pensiero di Papa Francesco.

  1. La sfida del buon Samaritano 

La fraternità  tra gli esseri umani, al di là delle loro diversità esteriori e delle loro differenti culture, è sempre stato un tema originario e, potremmo dire, generativo del Cristianesimo. Lo sviluppo che Papa Francesco dà di questo tema nell’Enciclica Fratelli tutti è particolarmente attuale e coinvolgente: non si tratta infatti solo di  una riflessione generale, pur importante,  sul comandamento dell’amore reciproco ma di un tentativo di mostrarne la peculiare valenza nel mondo contemporaneo. In esso infatti sono state superate le barriere spaziali che esistevano un tempo e che erano alla base delle diverse civiltà-mondo, ciascuna delle quali correva il rischio di ritenersi l’unica rappresentante dell’umanità e di condannare alla disumanità della ‘barbarie’ gli appartenenti alle altre civiltà. Il mondo unito dalla globalizzazione economica, abbattute le distanze spaziali che isolavano una civiltà dall’altra,  potrebbe, anzi  dovrebbe essere caratterizzato dalla comprensione di una condivisa comunità di destino. Ce lo ha rivelato proprio la pandemia di Covid-19, che si è estesa da un angolo all’altro della terra oltrepassando tutte le barriere statali, linguistiche, culturali e dimostrando ancora una volta la giustezza della risposta che Albert Einstein aveva dato a un questionario: alla domanda ‘razza’ il grande fisico  aveva risposto ‘umana’. Il modello insuperabile di questa concezione aperta e universale dell’essere umano, che implica  il coinvolgimento di ciascuno nel destino degli altri,  è dato dalla parabola del buon Samaritano, una specie di Discorso sul metodo a proposito della fraternità umana, il cui commento appassionato costituisce il cuore di questa Enciclica (secondo capitolo). La riflessione di Papa Francesco analizza le molteplici sfaccettature della parabola mettendone in luce il valore universalmente umano, pienamente apprezzabile non solo dai  cristiani ma anche dagli aderenti ad altre religioni o da persone non religiose ma coinvolte nella cura dell’essere umano.  La conclusione è chiara, univoca e irrecusabile: chi respinge, rifiuta, discrimina il suo fratello  più debole – costui,  anche se si proclama cristiano, anche se ostenta in pubblico alcuni strumenti della devozione popolare, in realtà cristiano non è. Mentre chi si occupa del fratello più debole e in difficoltà, anche se non si dichiara cristiano, in realtà lo è. 

  1. Economie aperte, società chiuse: i migranti

Oggi gli esseri umani sono ancora ben lontani dal percepirsi come membri di un’unica famiglia: lo dimostrano in modo clamoroso le vicende dei profughi, dei rifugiati, di coloro che cercano rifugio da massacri, violenze, devastazione, fame o che vorrebbero semplicemente godere di opportunità di vita migliori. Mentre la globalizzazione del denaro è compiuta (è possibile effettuare un investimento in qualunque parte del mondo) la libera circolazione delle persone è ben lungi dall’essere una realtà. Oggi nel mondo  una delle più diffuse  reazioni  all’incontro  con l’altro, avvertito come perturbante o minaccioso,  è la costruzione di muri, il tentativo di tenere separati gruppi umani magari geograficamente vicini ma appartenenti a culture diverse.  

3.1 Il forestiero ‘geografico’ e i suoi doni

Partendo da qui potremmo dire che il tema fondamentale dell’Enciclica consiste nel riaffermare la fraternità universale degli esseri umani (‘Fratelli tutti’) e quindi anche dei migranti, al di là delle diverse culture che ci caratterizzano. “Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo. Ma oggi esse risentono di una perdita di quel senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile. L’Europa, ad esempio, rischia seriamente di andare per questa strada. Tuttavia, aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, [ha] gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri concittadini e quello di tutelare l’assistenza e l’accoglienza dei migranti”. “Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere  con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Lo straniero (non si dimentichi che per il cristiano è Gesù che nello straniero si fa presente a noi) può ricevere molto dalle società che lo accolgono, ma può anche dare molto. Papa Francesco sottolinea giustamente come “l’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono, perché ‘quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono un’opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti’”. Ma perché si verifichi questo processo, che non è per niente facile, semplice e automatico, è necessaria quella che potremmo chiamare una disposizione fondamentale e reciproca al dialogo interculturale e interreligioso che possa dar  luogo a una dialettica delle culture – tanto di quella che accoglie quanto di quella che viene accolta. “Le varie culture, che hanno prodotto la loro ricchezza nel corso dei secoli, devono essere preservate perché il mondo non si impoverisca. E questo senza trascurare di stimolarle a lasciar emergere da sé stesse qualcosa di nuovo nell’incontro con altre realtà. Non va ignorato il rischio di finire vittime di una sclerosi culturale. Perciò abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita  nel rispetto di tutti. E’ necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui’”

3.2  Una dialettica feconda di locale e universale

Si pone qui il problema del rapporto tra le diverse culture locali, all’interno del processo universale della globalizzazione.  La soluzione che propone Papa Francesco ci sembra equilibrata e saggia: bisogna saper conservare “il sapore locale” ma insieme salvaguardare “l’orizzonte universale”. Due sono i pericoli: uno è lo sradicamento dalla propria tradizione locale, dalla propria storia e cultura, in uno pseudo-universalismo che non fa che scimmiottare usanze e valori di altre culture egemoni; l’altro è il “localismo che si rinchiude ossessivamente tra poche idee, usanze e sicurezze, incapace di ammirazione davanti alle molteplici possibilità e bellezza che il mondo intero offre e privo di una solidarietà autentica e generosa”. Invece, osserva Papa Francesco, il modello di una relazione equilibrata tra il particolare e il generale  è costituito non  “dalla sfera globale che annulla, né dalla parzialità isolata che rende sterili”, ma dal poliedro, “dove, mentre ciascuno è rispettato nel suo valore, ‘il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma”. 

3.3 Il forestiero esistenziale 

Se il migrante è, per così dire, il forestiero geografico, altrettanto importante è il forestiero esistenziale. “Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico ma esistenziale. E’ la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente, abbandonato o ignorato dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nel nostro stesso Paese”. Ci sono gli ‘esiliati occulti’ – persone con disabilità, anziani … Persone che, apparentemente, possono sembrare poco utili alla società, in base a una visione efficientistica e pragmatica degli esseri umani.  Eppure, dice Papa Francesco, in ciascuno si nasconde la sacralità della vita: che però richiede occhi per essere vista. 

Di fronte a questa situazione, la strategia concettuale di Papa Francesco è duplice. Da una parte, egli delinea un’antropologia filosofica positiva, alla luce della quale possiamo leggere le potenzialità e i fallimenti esistenziali nei nostri rapporti reciproci. Dall’altra parte, analizza criticamente le ideologie che sono, direttamente o indirettamente, portatrici di una cultura dell’indifferenza o del rifiuto. Esamineremo separatamente i due momenti.

4.Una antropologia filosofica  dell’amore

Il terzo capitolo (Pensare e generare un mondo aperto) è uno dei più ricchi dell’Enciclica, perché presenta una serie di riflessioni di antropologia filosofica che risultano preziose, con una significativa presenza di pensatori ascrivibili, in senso più o meno lato, all’esistenzialismo cristiano (Gabriel Marcel, Georg Simmel, Paul Ricoeur, Karl Rahner). Ricordiamo alcuni temi. 

4.1 L’interdipendenza “Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro (Marcel). Questo spiega perché nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare … La vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza”. Le implicazioni di questo principio relative al dialogo interculturale sono preziose: “Questo approccio, in definitiva, richiede di accettare con gioia che nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. In altre parole, l’apertura all’altro è un tratto costitutivo della sanità psicologica tanto delle singole persone  quanto delle culture in cui esse vivono.

 4.2 Al di là “Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami  e allarga l’esistenza  quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi ‘una specie di legge di ‘estasi’: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere’”. Perciò “in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso”. 

4.3 Al primo posto “La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana … Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più grande è non amare (cfr. 1 Cor. 13,1-13)”. 

4.4 L’universalità “C’è da compiere un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che ‘il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità’. Questo è un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo o non serve al loro fine”.  

4.5 La gnoseologia dell’empatia

Papa Francesco riprende, senza citarle, alcune delle fondamentali acquisizioni di metodo dell’antropologia culturale tra XX e XXI secolo. Esse ci dicono che non esiste una conoscenza ‘obiettiva’, ‘distaccata’ di un essere umano. Un approccio distaccato  ci permette soltanto di  conoscere alcuni aspetti (di un individuo o di una cultura), ma ci fa rimanere alla superficie riguardo al senso profondo, a quella che potremmo chiamare la sua anima – e, per di più, ci chiude nell’illusione di averla finalmente compresa, mentre la si è ridotta a un qualche misero schema interpretativo. In realtà, è soltanto nel processo di ‘uscire fuori da me’ che io posso iniziare una vera dialettica della comunicazione, cercando di assumere il punto  di vista dell’altro sul mondo. Non solo: ma la mia conoscenza partecipe dell’altro è un passaggio fondamentale per la conoscenza di me stesso. “Riscontriamo che una persona, quanto minore ampiezza ha nella mente e nel cuore, tanto meno potrà interpretare la realtà vicina in cui è immersa. Senza il rapporto e il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di sé stessi e della propria terra, poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana. Guardando sé stessi dal punto di vista dell’altro, di chi è diverso, ciascuno può riconoscere meglio le peculiarità della propria persona e della propria cultura: le ricchezze, le possibilità e i limiti. L’esperienza che si realizza in un luogo si deve sviluppare “in contrasto” e “in sintonia” con le esperienze di altri che vivono in contesti culturali differenti”. 

  1. Due forme di  accecamento: mercatismo neoliberista e populismo 

Occorre dunque sviluppare una cultura dell’accoglienza.  Ma ciò vuol dire insieme combattere le ideologie e le pratiche che perpetuano la separazione, se non addirittura la contrapposizione tra gli esseri umani. Papa Francesco, da buon teologo, sa bene che esiste “la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo, che fa parte di ciò che la tradizione cristiana chiama ‘concupiscenza’”:  e tuttavia è convinto che “è possibile dominarla con l’aiuto di Dio”, senza proporsi mete impossibili (il cosiddetto ‘perfettismo’) ma anche senza rinunciare a combattere la buona battaglia. Questa consapevolezza dei nostri limiti creaturali non deve giustificare la nostra inerzia o il nostro appiattimento su una serie di (dis)valori che sembrano largamente condivisi nel mondo contemporaneo. Si tratta di atteggiamenti economici e politici, che hanno delle ricadute particolarmente negative sulla possibilità di realizzare una pratica di apertura ecumenica reciproca, che è al centro dell’interesse di Papa Francesco. Ne ricordiamo qui due, particolarmente importanti: il neoliberismo e  il populismo. 

5.1 Il neoliberismo  è imperniato sull’idolatria del mercato.  Papa Francesco non è contro il mercato in quanto tale, né contro l’attività degli imprenditori, verso i quali ha parole di apprezzamento né contro la proprietà privata. Egli ritiene che la proprietà privata, il mercato, l’imprenditorialità privata possano essere elementi importanti di progresso sociale. A una rigorosa condizione: che non siano idolatrati, non divengano cioè degli assoluti terreni che ci fanno chiudere gli occhi davanti alla realtà, ai suoi squilibri, alle sue disuguaglianze, ai suoi aspetti più crudi e deplorevoli.  “Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale … Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del ‘traboccamento’ o del ‘gocciolamento’ … come unica via per risolvere i problemi sociali … Dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”. E dunque, la proprietà privata andrà sì considerata come un diritto, ma non un diritto assoluto, primario, incondizionato: assoluta è la destinazione universale dei bene, a cui la proprietà privata deve essere subordinata. 

5.2 “Imperialismo culturale”. Va ricordato un aspetto correlato a questa idolatria del mercato, a cui Papa Francesco è particolarmente sensibile, data la sua origine argentina: si tratta di quell’atteggiamento che si potrebbe definire di imperialismo culturale. Esso si verifica quando la cultura di un paese (il modello nascosto ma evidente è costituito dagli Usa) di fatto si impone sulla cultura di altri paesi, diventando egemone: “sono le nuove forme di colonizzazione culturale”, commenta Papa Francesco. “Non dimentichiamo che ‘i popoli che alienano la propria tradizione e, per mania imitativa, violenza impositiva, imperdonabile negligenza o apatia, tollerano che si strappi loro l’anima, perdono, insieme con la loro fisionomia spirituale, anche la consistenza morale e, alla fine, l’indipendenza  ideologica, economica e politica’”. Il risultato di questo processo è una sorta di sradicamento nichilista, che abolisce la storia, la tradizione, la cultura: “Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti … [Il risultato sono] giovani che disprezzano la storia, che rifiutano la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorano tutto ciò che li ha preceduti … Si tratta di un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione”.  

5.3 “Populismo”. Se il neoliberismo è una forma di pseudo apertura a un universale astratto, che implica la chiusura di fatto rispetto alla ricchezza della propria tradizione culturale,  il populismo è la forma simmetrica, di chiusura nella propria cultura, che viene esaltata a scapito di qualunque altra cultura mondiale: si tratta, per così dire, di un localismo astratto,  l’altra  variante di una chiusura rispetto alla ricchezza di sé e dell’altro. Papa Francesco, mentre rivendica il valore della categoria di popolo, ricca di sostanza storica (“essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali”) contrappone nettamente  popolare a populista: “i gruppi populisti chiusi deformano la parola ‘popolo’, perché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo. Infatti, la categoria di ‘popolo’ è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi”. Il tratto distintivo del populismo è la demagogia, la ricerca dell’interesse immediato a danno del futuro, “senza progredire in un impegno arduo e costante, che offra alle persone le risorse per il loro sviluppo, per poter sostenere la vita con i loro sforzi e la loro creatività”. In questo senso la questione decisiva, il grande tema è il lavoro: “ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, la sua forza”. Viceversa, si può aggiungere che il populismo finisce alla lunga non solo per provocare la chiusura mentale e fisica di un popolo, ma anche la perdita dei posti o delle occasioni di lavoro: la cattiva moneta  populista  – la ricerca dell’interesse immediato – scaccia la buona moneta popolare – il perseguimento degli interessi del popolo nel medio e lungo periodo.(2) 

  1. L’esito: la nullificazione indifferente dell’altro

C’è un’analogia tra l’atteggiamento di devastazione nei confronti della natura e l’atteggiamento di indifferenza, chiusura e sfruttamento nei confronti degli altri esseri umani? A nostro parere, ma soprattutto a parere di Papa Francesco e di san Francesco,  sì. Il presupposto comune è la  nullificazione indifferente dell’altro – sia esso un altro essere naturale (animale, pianta) sia un umano, fratello o sorella, appartenente a un’altra cultura, o anche alla propria. Intendiamo con nullificazione il fatto di non  considerare minimamente l’altro, naturale o sociale, come qualcosa o qualcuno che abbia un suo valore in sé (nel caso dell’essere umano, che abbia addirittura una sua sacralità), qualcosa o qualcuno  a cui noi  siamo in realtà strettamente correlati. Oppure di considerare l’altro solo per i benefici che possiamo trarre dal suo sfruttamento, per cui siamo pronti a distruggerlo a cuor leggero, in funzione del  nostro profitto,  se si tratta di qualcosa di naturale.  O, se si tratta di un essere umano, a utilizzarlo, strumentalizzarlo, eventualmente abusarne, se non addirittura a ucciderlo – e, soprattutto, se è uno straniero,  a respingerlo. Oppure ancora semplicemente a passargli accanto indifferenti,  voltando lo sguardo da un’altra parte. L’indifferenza è la cifra caratteristica di questa psicologia, così comune nel nostro tempo.  Ma, sostiene Papa Francesco, si tratta di una malattia mortale dello spirito. Perché  la chiusura all’altro è chiusura verso il Sé profondo: è dunque un’automutilazione. Questa chiusura è una reclusione dello spirito – una forma di prigionia, un venir meno, per stanchezza, paura, inerzia, viltà, ignoranza, della fondamentale molla che ci spinge a incontrare l’altro (e l’Altro) –  a vivere. Da qui la diffusione nelle società occidentali  della depressione – se è vero, come pensava lo psicoanalista junghiano James Hillman , che “da tempo l’uomo percepiva l’estinguersi delle piante e degli animali […] e perciò era naturale che la sua anima provasse una sensazione di isolamento, di nostalgia e di lutto”. 

  1. Il realismo utopico di Papa Francesco

In conclusione, come definire l’atteggiamento fondamentale di Papa Francesco? Usiamo volentieri la definizione di ‘realismo utopico’ che a prima vista può apparire una contraddizione in termini, un  ossimoro  (avremmo anche potuto parlare, nella stessa accezione, di ‘utopia concreta’) perché ci pare che essa segnali nel modo più netto la rottura compiuta del pensiero di Francesco rispetto a una concezione che ha segnato la storia della cultura occidentale moderna (e non solo di quella):  la concezione per cui esisterebbe un abisso insuperabile tra il piano della realtà e quello dell’utopia, tra la politica e la spiritualità o la religione, tra gli interessi individuali e quelli di gruppo (il bene collettivo), tra l’essere e il dover essere, tra ‘l’etica della responsabilità’ e ‘l’etica dell’intenzione’. Ci pare che il punto di partenza della riflessione di Papa Francesco sulla fraternità – il punto filosoficamente più rilevante –  sia proprio la contestazione di questo schema,  o forse meglio di questo crampo mentale:  oggi è proprio  il nudo ‘realismo’, tanto celebrato dai sostenitori della ‘politica di potenza’,  che si rovescia in distopia.(3) La catastrofe globale occhieggia nel fondo della prospettiva dell’unilateralismo programmatico (prima gli Usa, o la Cina, o la Russia o l’Europa …) e dell’immediatismo economico (quali sono i miei interessi immediati? Quale il mio profitto?). D’altra parte, sono sempre più numerose le istanze di un recupero concreto, attuale, necessario di ciò che veniva sprezzantemente classificato come ‘irraggiungibile utopia’ – mentre era, ed è, soltanto ‘il sogno di una cosa’ che deve avvenire. Per Papa Francesco il recupero di una teoria e di una pratica della fraternità universale è una prospettiva concreta, anzi l’unica prospettiva veramente concreta per salvarci tutti dalla catastrofe imminente: ‘siamo tutti sulla stessa barca’, ‘non ci si salva da soli’. Ma questa prospettive esige la centralità della categoria di bene comune, nelle sue varie articolazioni, rispetto alle teorie per cui il bene comune sarebbe una semplice conseguenza indiretta delle potenze dell’interesse privato. Neanche l’uso distorto e criminale che è stato fatto della categoria di  bene comune nei regimi del totalitarismo comunista può indurci a rifiutare questo concetto-chiave, che naturalmente deve essere riformulato tenendo presente l’antropologia filosofica dell’amore  che abbiamo sopra ricordato. L’interesse privato come unico valore, il culto del profitto, l’adorazione dell’egoismo, tutto questo  si è trasformato nella legittimazione della devastazione della terra, ‘la nostra casa comune’. Bisogna aggiungere che questa preoccupazione profonda per lo stato attuale del mondo non è proprio soltanto di Papa Francesco, ma anche dei settori più avvertiti dell’intelligentsija mondiale. Per fare solo un esempio, è anche il punto di partenza dell’indagine ammirevole di uno dei più grandi filosofi contemporanei, Edgar Morin, un pensatore laico che ha trovato nella meditazione e nella proposta di Papa Francesco importanti  motivi di sintonia e di conforto. E’ forse questo  il segno di una nuova alleanza tra pensiero religioso e pensiero scientifico, che lasci alle spalle secoli di ritardi e di contrapposizioni, come auspicava nella sua ultima profetica intervista il cardinal Martini? Noi lo speriamo.  

 

Note

 

(1) A titolo di esempio, citiamo il recente rapporto di sir Partha Dasgupta (Cambridge University), The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review, che attualmente è allo studio del governo britannico (il testo è disponibile sulla rete). Manuela Monti e CarloAlberto Redi, due studiosi dell’Università di Pavia, riassumono così alcuni temi di questo libro affascinante e inquietante: “Il pianeta Terra è allo stremo. Siamo giunti al momento in cui i manufatti e i prodotti dell’uomo (edifici, plastiche e così via) che ammontano a circa 1,1 teratonnellate (un peso che equivale a circa 1.100 miliardi di tonnellate) hanno superato la biomassa dei viventi (inferiore a una teratonnellata, vegetali e animali). Le domande di risorse (materie prime, combustibili, legname, alimenti ecc.) e servizi (produzione di ossigeno, assorbimento della anidride carbonica atmosferica, riciclo di nutrienti, capacità di eliminare scorie e così via) che oggi poniamo alla Terra sono tali che dovremmo disporre di quasi due pianeti (1,6 per la precisione) per soddisfarle ” (Corriere della sera – La Lettura, 28 febbraio  2021, p. 5).

(2) Per una panoramica contemporanea sul fenomeno mondiale del populismo è interessante confrontare le osservazioni di Papa Francesco con le analisi di Paolo Corsini (Democrazie populiste. Storia, teoria, politica, Scholé, Brescia 2021). 

(3)  Da questo punto di vista le rappresentazioni distopiche del futuro, che sono diventate così frequenti nella cultura contemporanea, rappresentano la verità profonda di un’epoca che sembra accecata da un  ‘realismo’ ottuso che ci sta conducendo tutti verso l’abisso. A titolo di esempio di questa sensibilità  segnaliamo due opere di una grande scrittrice italiana, Laura Pariani, in cui questa dimensione distopica viene rappresentata con dolore, intensità e passione: Di ferro e d’acciaio (2018) e Apriti, mare! (2021)

 

 

Monsignor Gianfranco Poma, teologo. E’ stato assistente spirituale dell’Azione cattolica della diocesi di Pavia (1988-1995), docente in Seminario (1966-2000), direttore dell’Istituto Superiore di Studi Religiosi (1997-2005), delegato vescovile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (2005 – 2016).

Prof. Walter Minella: saggista e filosofo. Ha tradotto il breve saggio di  Varlam Tichonovič Šalamov,Tavola di moltiplicazione per giovani poeti (Como – Pavia 2012). Ha curato la pubblicazione del libro postumo di Pietro Prini,  Ventisei secoli nel mondo dei filosofi (Caltanissetta – Roma 2015); sullo stesso autore ha scritto la monografia Pietro Prini (Città del Vaticano, 2016). Ha curato con altri studiosi il volume Credere oggi in Dio, ancora e nonostante: Pietro Prini filosofo del dialogo tra fede e scienza (Roma 2018).