LA GENTE E LA POLITICA

Nemmeno come immagine di sé la politica sembra aver realizzato significativi miglioramenti.

Mettiamo pure tutti i puntini sulle ‘i’, consideriamo scontato il presupposto che della politica la gente è arcistufa, nauseata e che il solco che separa i buoni propositi dalla realtà è ormai diventato una voragine, che nessuno crede che la “questione morale” avrà il sopravvento, essendo noti a tutti gli sperperi e i privilegi della casta blindata nei palazzi del potere.

E’ un dato costitutivo diffuso nella politica in sé, che assume poi tutte le colorite e variegate specificità del nostro contesto nazionale dove questa frattura appare ancor più insanabile.

Pensiamo a quanta smisurata importanza viene attribuita alla spettacolarizzazione dei conflitti, dove nessuno fa un passo indietro per condividere le ragioni del confronto e della ricomposizione in nome di un buon governo peraltro necessario a tutti.

La conclusione dell’era Draghi per cause assimilabili ad una congiura orchestrata per motivi di rancori personali, di ambizioni, di personalizzazione della politica senza alcun riguardo per il bene comune è quanto di più emblematico si possa riscontrare da alcuni decenni a questa parte.

La manfrina e la liturgia delle candidature è la stessa di sempre, parte avvantaggiato chi tira le fila dal centro, chi ne fa una questione di vertice, di leadership, la realtà si scompone e si ricompone senza rispetto per la coerrenza. Il gap tra paese legale e paese reale diventa un solco incolmabile.

Un teatrino penoso di esternazioni e invettive, un gioco delle parti inconcludente.

Consideriamo la personalizzazione dei partiti che sono diventati comitati d’affari piuttosto che associazioni fondate sulla difesa di valori e ideali di alto profilo etico e ispirate al bene comune: il famoso “manuale Cancelli” serve infatti per distribuire incarichi e poltrone senza riguardo alcuno per i costi della politica.

Esiste un ramificato e diffuso malcostume che attribuisce ai  politici il diritto di appropriarsi di tutti i centri di potere, da quelli di alto livello istituzionale e poi giù, giù in tutti i gangli vitali dello Stato, della Pubblica Amministrazione, degli Enti e delle Associazioni fino alle realtà apparentemente più neutre e insignificanti. 

Lo spoil system ha di fatto legittimato questo saccheggio, in nome della coerenza tra politica e amministrazione.

Vassalli, valvassori e valvassini sono un retaggio tristemente sopravvissuto al passato.

E poi una presidenza- in Italia- non si nega a nessuno, fosse anche la bocciofila parrocchiale o il dopolavoro aziendale.

Se uno ci pensa bene è una cosa quasi grottesca: anche la storia del passaggio dalla prima alla seconda e magari alla terza e persino alla quarta Repubblica è una farsa tragicomica, un’invenzione letterale, una metafora che resta tale di fronte all’evidenza. 

E’ forse cambiato qualcosa? Non certo sul piano della motivazione, infatti il tasso di disaffezione resta alto. 

Di sicuro non dal punto di vista del gap tra nobiltà d’intenti e miseria delle realizzazioni che rimane immutato.

Nemmeno come immagine di sé la politica sembra aver realizzato significativi miglioramenti.

Detto questo, e pensato magari tutto quel di peggio che si può pensare ma non dire, ci sono altri puntini da collocare su altrettante ‘i’.

Parlar male della politica è infatti ormai uno sport nazionale, un’abitudine più che una scelta, a volte persino un alibi.

Cercare capri espiatori e colpevolizzare è infatti una tendenza molto diffusa nel vivere sociale.

Senza contare che – è vero – ci sono politici a vita ma il ricambio generazionale, anche se lento, è comunque assicurato a chi dimostra particolare vocazione all’appartenenza e alla fedeltà.

I politici, prima di essere tali, sono stati gente come noi, come si dice appunto “gente prestata alla politica”.

Ma non è che ‘dal basso’ arrivino sempre spinte innovative, tanta parte del furor di popolo è mossa da una demagogia a buon mercato oltre che da una malcelata invidia personale e sociale.

Altrimenti non ci sarebbero tanti aspiranti candidati a prendere il posto di quelli che si sono già accomodati.

Anzi, molta parte degli inciuci, degli arrangiamenti, del malaffare e degli imbrogli vari sono ben radicati nel costume, meglio nel ‘malcostume’ sociale.

Perché è vero: la politica ha i suoi privilegi, i suoi costi e le sue contraddizioni e coloro che menano le danze fanno di tutto per rimanere in scena.

Ma molti dei livori e delle invettive che partono dalla società civile sono ammantati dalla facile retorica di un copione già scritto: potrebbero cambiare i suonatori ma la musica resterebbe la stessa.

Se la politica rimane un affare, se i partiti son pur sempre congreghe, se chi arriva al traguardo può appendere cappello perché mai rinunciare a tanta carriera?

I politici saranno quel che saranno ma alzi la mano chi, onestamente, non vorrebbe essere al loro posto.