La guerra mette a nudo la dialettica tra stati e potenze finanziarie sovranazionali: l’occidente deve porsi il problema.

 

Esiste nel campo occidentale ed europeo un conflitto di priorità. Tra gli interessi dei cittadini e quindi degli stati, componibili con la definizione di un accordo di pace, e gli interessi di chi comanda nei fatti e che persegue finalità puramente di parte, incompatibili con una pace in verità né cercata né desiderata fino in fondo. La tesi dell’autore coincide solo in partire con quella della redazione, essendo quest’ultima più dura e severa circa le responsabilità della Russia, ma sollecitano comunque una riflessione sulla complessità dell’attuale crisi geopolitica.

 

Giuseppe Davicino

 

Nell’intervista di Fubini a Jeffrey Sachs, apparsa il Primo Maggio sul Corriere, l’economista americano ha affermato in modo chiaro ciò che non è consentito sostenere in sede politica, ovvero che è “l’America” a non volere una soluzione diplomatica alla guerra. Ove per “America” egli intende, con tanto di nomi e cognomi, i politici bipartisan che hanno seguito una determinata agenda, da Bush a Biden. E si può aggiungere, che ha trovato dei valenti collaboratori oltreché a Londra, anche tra Parigi e Bruxelles. Se questa analisi, di un insider oltretutto, è fondata, nel senso che ci porta sulla strada giusta da seguire pur nel grande aggrovigliamento della situazione reale, come credo che lo sia, ne derivano conseguenze politiche di primaria importanza.

 

La prima, esplicitando il riferimento del prof. Sachs, è quale sia l’agenda che segue l’Occidente e che diverge in modo così evidente dalle dichiarazioni pubbliche dei suoi leader. Perché questa intransigenza che ha portato negli anni a una presenza così rilevante e non sempre trasparente dell’Occidente in Ucraina? Uno stato ex sovietico che avrebbe avuto bisogno di stabilizzazione e non di disintegrazione della sua sovranità, condita pure da un colpo di stato nel 2014 che diede il via alla guerra civile. Perché aver rifiutato sempre, negli anni scorsi una soluzione pacifica che era a portata di mano, pur sapendo che un giorno la Russia, pur sbagliando enormemente, avrebbe perso la pazienza? Temo che se non ci si pone questo ordine di domande, poi non si riesca ad afferrare la ratio che guida la risposta occidentale all’invasione russa. Perché adottare sanzioni che hanno rafforzato la valuta russa come mai prima e che invece nuocciono pesantemente all’economia e alla stabilità in Europa? Perché esporre addirittura il Vecchio Continente al rischio di guerra totale?

 

E così, grattando sulla generica espressione “l’America”, viene fuori il volto dei poteri che la comandano. Che sono di natura privata, di circoli esclusivi di detentori del potere economico-finanziario, mediatico, tecnologico, auto-investitisi di un ruolo di embrione di governo mondiale. Solo riconoscendo che siano tali ambienti gli ispiratori delle scelte occidentali, si può riuscire a comprenderne la logica. Si può arrivare a capire come mai la Russia, come porta dell’Asia, e con essa i BRICS, rispetto a un programma già definito, e nelle sue linee essenziali reso anche pubblico, di gestione centralizzata, privata e tecnocratica, del potere mondiale attraverso una riformattazione dell’essere umano e dell’economia, sia considerata un nemico mortale.

 

Senza l’adesione di Mosca e dei giganti asiatici non sarà possibile instaurare un completo tracciamento bio-tecnologico su tutto il genere umano, abolire il contante sostituendolo col “marchio della Bestia”, attuare il tanto agognato, in questi ambienti, programma di depopolamento mondiale. Altrimenti non si potrebbe spiegare come mai Stati Uniti ed Europa, pur non avendo interessi sempre coincidenti, si ostinino in modo così miope a guastare le loro relazioni col resto del mondo che comprende oltre l’80% della popolazione globale, ad opporsi a un assetto multipolare che implica un reciproco riconoscimento fra le potenze.

 

Il dato politico appare dunque essere il riconoscimento che esiste nel campo occidentale ed europeo, un conflitto di priorità. Tra gli interessi dei cittadini, degli stati, componibili con la definizione di un accordo di pace, e gli interessi di chi comanda nei fatti e che persegue finalità puramente di parte, che sono inompatibili con una pace che non viene né cercata né desiderata. Non siamo dunque in presenza, come vuole la propaganda mediatica, di un conflitto fra democrazia e barbarie, bensì di una dialettica che sbrigativamente si può definire fra miliardari e bene comune dei cittadini e degli stati occidentali, dalla quale passa la via della pace. Ed anche la via per un riscatto della politica dal ruolo ancillare in cui è stata relegata in Occidente.