La lezione di Donat-Cattin secondo Aimetti. Una biografia accurata alla luce della storia politica del secondo Novecento.

 

 

Il libro scritto da Giorgio Aimetti pubblicato recentemente da Rubbettino, Carlo Donat-Cattin, la vita e le idee di un democristiano scomodo”, non ripercorre soltanto il magistero politico, culturale, sociale ed istituzionale – e privato – del leader democristiano piemontese e di un importante e qualificato statista della prima repubblica, ma ha il merito di rileggere anche le costanti che hanno caratterizzato la politica italiana per quasi 50 anni.

 

Certo, sono molti gli aspetti che si potrebbero trarre da una vasta ed interessante pubblicazione come questa. Ma c’è un aspetto che a volte viene dimenticato, o volutamente sottovalutato, e che invece merita di essere ripreso e approfondito perchè non ha una scadenza temporale nè può essere banalmente storicizzato. Parlo del rapporto tra i cattolici e l’impegno politico, o meglio il ruolo dei cattolici democratici, popolari e sociali nella cittadella politica italiana nelle diverse fasi storiche e che resta un tema di grande attualità. Moderno e contemporaneo. E nell’epoca storica che ha visto protagonista Carlo Donat-Cattin – cioè dall’inizio degli anni ‘50 sino all’inizio degli anni ‘90 – il rapporto dei cattolici con la politica e soprattutto con la gerarchia ecclesiastica e i suoi insegnamenti è stato un elemento costitutivo per lo stesso impegno nella società e nelle istituzioni democratiche.

 

Un rapporto che è stato comune e simile per molti leader democratici cristiani ma non per tutti. In sintesi, per uomini come Donat-Cattin essere un cattolico impegnato nel pubblico – nell’Azione cattolica come nel sindacato, nella politica come nelle istituzioni – è sempre stato ispirato a 3 criteri di fondo che rispondono anche alla sua concreta esperienza nelle varie fasi della sua vita.

 

Innanzitutto un rigoroso rispetto della laicità dell’azione politica e sindacale. Differenza dei ruoli e dei “piani”, come si diceva un tempo, ma sempre ispirati ad una concezione che affondava le sue radici nell’umanesimo cristiano e, per quanto lo riguardava, nel filone del cattolicesimo sociale. Per questi motivi la dottrina sociale della Chiesa, nella sua diversa e continua evoluzione, ha sempre avuto un’importanza centrale per tutto il suo magistero pubblico. E coniugare la laicità dell’azione temporale con una coerente aderenza all’insegnamento della Chiesa è sempre stato il faro che ha illuminato la sua militanza concreta.

 

In secondo luogo nessun cedimento al clericalismo e al confessionalismo. Atteggiamenti, invece, che hanno contraddistinto, nella lunga stagione politica democristiana, il comportamento politico di molti altri esponenti che a volte confondevano l’aderenza all’insegnamento della Chiesa e, nello specifico, di alcuni settori della gerarchia, con il condizionamento della concreta azione politica. Una sorta di clericalismo strisciante che era apprezzato nelle segrete stanze delle varie Curie disseminate in tutto il paese ma che non incrociava gli interrogativi e le domande che una società, sempre più laica e secolarizzata, poneva ai politici. Anche e soprattutto cattolici. E Donat-Cattin, su questo versante, ha sempre privilegiato i contenuti e il progetto politico di cui si faceva portatore rispetto a indicazioni che provenivano da altri settori. Qualsiasi essi fossero.

 

In ultimo, ma non per ordine di importanza, la rettitudine morale e personale di Donat-Cattin senza mai scivolare nel moralismo sciatto e avaloriale. Di qui la celebre distinzione tra i “moralisti” che indicano un problema e individuano se stessi e il proprio clan come gli unici titolari ad affrontarlo e risolverlo, e i “moralizzatori” che, al contrario, si battono per la soluzione del problema senza anteporre mai la propria persona e il proprio cerchio di amici coma la via miracolistica e salvifica da perseguire. Sotto questo aspetto, la lunga, complessa e difficile militanza politica di Donat-Cattin ha sempre concentrato la sua attenzione sui contenuti dell’azione politica e sindacale senza mai farsi affascinare o condizionare dai richiami moralistici frutto di una sub cultura che ha caratterizzato, al contrario, alcune esperienze riconducibili al mondo cattolico tradizionale.

 

Mi sono soffermato solo su tre aspetti, tra i tanti, che si potevano ricordare attorno a questo tema. Ma, comunque sia, anche per intraprendere oggi una nuova e rinnovata azione politica da parte dei cattolici italiani non possiamo – e non dobbiamo, a mio parere – dimenticare lo straordinario magistero politico e culturale di uomini come Carlo Donat-Cattin. Che hanno anche pagato personalmente un duro prezzo per aver sempre conservato nella loro vita una coerenza esemplare e cristallina nell’azione sindacale, politica e istituzionale.