Ad Antonio Polito, autorevole penna del Corriere, dispiace in fin dei conti che rimanga in questa Settimana Santa il suono delle campane e nulla più.

A lui dispiace cioè che a Pasqua non si abbia il segno visibile della comunità, dal momento che le Parrocchie non avranno modo di celebrare messa. Vede in questa quarantena che si estende alla dimensione della fede una perdita nient’affatto riducibile alla “nazione Cattolica”, ma all’Italia tutta intera. Una perdita, perciò, che riguarda anche le donne e gli uomini che non hanno il dono della fede.

Nell’articolo, oggi in prima del Corriere, si legge dunque il senso della nostalgia e dello smarrimento, benché il tono sia misurato e il tratto elegante, senza accenti impetuosi. Sì può convenire o dissentire, come sempre, ma le parole di Polito richiamano il valore della vita associata, anche e soprattutto quando l’associazione consiste nel ritrovarsi attorno alla mensa eucaristica del Signore.

Certo, un po’ colpisce questo invito nascosto alla Chiesa a preservare della Pasqua non solo lo “spirito”, ma la sua stessa “fisicità”. E tuttavia, in questa perorazione garbata, in punta di piedi, si coglie il bisogno di essere avvertiti del fatto che la vita oltre la reclusione domestica è anche afflato religioso, forse potremmo dire che è la vita in senso pieno.
Tutto questo non si trasforma in impeto anti papale, come traspare nettamente dall’invito di Salvini a riaprire le chiese, visto che ancora non si può riaprire l’Italia. Papa Francesco ha preso una decisione sofferta, allineando la comunità cristiana allo sforzo della nazione contro i pericoli della pandemia. La Chiesa è nel mondo senza essere del mondo: cosa diremmo oggi se non ci fosse tale scrupolo umano e civile nella maniera di servire l’umanità della Chiesa? Se prevalesse, in altri termini, l’idea che la Pasqua debba viversi a prescindere dalle contingenti restrizioni sanitarie?

La pretesa di sostituirsi alla gerarchia, sfidando persino l’autorità del Papa, fa di Salvini un pericolo della Chiesa. Finora, in effetti, lo era del Paese senza che ciò turbasse la coscienza dei tradizionalisti e dei cosiddetti moderati, in gran parte cattolici. Ora questa viscerale condivisione, per cui il leghismo si protende in territorio ostico alla modernità fino a declinarsi in sanfedismo, si rivela davvero perniciosa.

La Pasqua non può rientrare, pena l’obnubilazione dell’intelligenza, nelle scomposte dinamiche del sovranismo.