In età medievale e moderna le epidemie non si contavano, e anche allora (come oggi) intervenivano con forme più o meno gravi. E poiché la maggior parte dei casi – benché drammatici e sufficientemente diffusi – non si manifestava su scala globale, non si poteva parlare di pandemia.

Italia, primavera del 1630. Anche allora la peste (forse l’ondata epidemica più grave di tutte le precedenti) si diffuse a partire dal Nord, in particolare dalla Lombardia e dal Piemonte, e scese abbracciando progressivamente gran parte della penisola. Fu una strage. Alcune città persero il 60% della popolazione, altre si svuotarono a causa della fuga degli abitanti dai luoghi colpiti dal terribile morbo. E’ stato calcolato, sulla base di documenti scritti (ne parlò anche Alessandro Manzoni) e ricostruzioni storiografiche, che solo nella parte settentrionale, Milano inclusa, morì un milione di persone.

I motivi principali che provocarono la grande epidemia del ’30 furono la Guerra dei Trent’anni e le conseguenti carestie, aggravate dal passaggio degli eserciti nelle zone divenute oggetto di disputa e di occupazione militare. Le scorribande e la devastazione operate infatti dai soldati dei diversi schieramenti in diverse aree dell’Europa – si pensi che città come Magdeburgo e Lipsia furono assediate decine di volte in poche settimane – si lasciarono alle spalle, oltre a terrore e distruzione, anche una lunga scia di contagio. Gli eserciti regolari di allora erano affiancati da una moltitudine di mercenari, diseredati e profittatori che non si limitavano a requisire i raccolti dei contadini, ma scannavano gli animali, distruggevano i campi e gli edifici privando gli abitanti di ogni bene che si rendesse necessario per il loro sostentamento.

Fu nel 1628, tra le truppe francesi inviate da Richelieu nell’Italia Settentrionale per fronteggiare gli ugonotti, che si diffuse il primo focolaio del morbo. L’epidemia si propagò in breve tempo accompagnata da nuovi e insidiosi (quanto micidiali) agenti patogeni, tra cui la sifilide – detta “mal francese” – che aggravarono una condizione già di per sé disperata. Neanche le invasioni barbariche avevano dato luogo a una tragedia di proporzioni simili.
Come si comportavano le autorità per difendersi da nemici così subdoli e terribili come le infezioni? I governi dell’epoca, età degli assolutismi, emisero tutta una serie di provvedimenti comuni alla maggior parte degli stati europei. Innanzitutto, organizzavano dei blocchi di polizia alle frontiere affinché chi volesse oltrepassarle fosse obbligato a esibire la “bolletta di sanità” attestante il singolo stato di salute. In secondo luogo, venivano istituite delle vigilanze che facessero rispettare il divieto di allestire fiere, mercati e quant’altro potesse divenire motivo di assembramento. I trasgressori erano puniti con pene severissime, comprese varie forme di supplizio.

C’era poi un altro elemento, quanto più moderno e attuale: la nomina di commissari straordinari delegati a preservare l’igiene pubblica, ivi compresa la facoltà di decidere i luoghi presso i quali isolare i malati e predisporre le quarantene. E infine il fuoco e le bonifiche. Venivano bruciati mobili, vestiti e materiali di ogni genere, si uccidevano i cani e si profumavano gli ambienti mediante spezie e appositi preparati.
Riguardo alle terapie, le equipes di medici designate, che prestavano le proprie cure munite di vestiti incerati, maschere, cappelli, occhiali e bastoni per toccare i pazienti, somministravano ai malati pillole portentose, unguenti a base di pietre preziose, oli vari ed erbe mediche, tra cui l’angelica e il cardo mariano. Le macchie e le bolle provocate dal morbo venivano incise e bruciate, mentre gli alessifarmaci da ingerire quasi non si contavano.

Ma forse la curiosità maggiore era quella relativa al miscuglio di zafferano, arsenico, zenzero e garofani pestato e apposto all’altezza del cuore a mò di antidoto. Guarivano in pochissimi, e la quasi totalità degli ammalati, che soffriva di febbre alta, emorragie e insorgenze dermatologiche varie, se ne andava nel giro di 5-7 giorni.
Al tempo, gli esperti davano voce ovviamente a una moltitudine di diagnosi e pareri clinici contrapposti, ma probabilmente l’ipotesi che ancora prevaleva era quella (vagamente superstiziosa) legata all’espiazione del genere umano per i suoi peccati e i suoi comportamenti inopportuni. E poi non mancavano coloro che attribuivano quei flagelli alle avverse congiunture astrali e ai fenomeni celesti; tra questi, il movimento eliocentrico sfavorevole Giove-Saturno nell’orbita zodiacale e l’anomalo asterismo della costellazione dei Pesci.