Il Consiglio dei Ministri ha varato le nuove norme. Dalla metà di ottobre per entrare negli uffici pubblici e privati bisognerà essere vaccinati, aver fatto un tampone o essere guariti dal Covid. Per chi si presenta al lavoro senza green pass ci saranno sanzioni (pecuniarie e disciplinari)

Con l’obbligo del green pass dal 15 ottobre nei luoghi di lavoro (pubblici e privati) si riaccende il movimento di protesta contro l’imposizione di tale strumento. All’inizio si trattava solo di una corrente di pensiero a cui avevano dato voce personalità del mondo intellettuale: Giorgio Agamben, Massimo Cacciari, successivamente seguiti da altri tra cui Gianni Vattimo, Carlo Freccero, Franco Cardini. Ognuno di loro ha messo subito in chiaro di essersi fatto iniettare a tempo debito le due dosi del vaccino. Ma poi hanno sostenuto che molte (troppe) insidie si nascondono dietro l’obbligo di esibire il certificato di avvenuta immunizzazione. 

Alcuni hanno sollevato un problema di efficacia in relazione allo scarso tempo di sperimentazione dedicato ai vaccini. Il professor Cacciari, in particolare, ne ha fatto una questione di limitazione delle libertà costituzionali (con il protrarsi dello stato di emergenza). Ragion per cui hanno esortato – con motivazioni diverse – a diffidare di tale imposizione. Sulla scia di questi intellettuali, i leader delle principali forze sindacali del Paese hanno concesso una serie di interviste nelle quali hanno chiesto che i lavoratori siano esentati dal dover esibire la certificazione verde — come impone la legge dal 15 ottobre — per accedere ai luoghi di lavoro. E che, nel caso siano sprovvisti di green pass, non abbiano a subire sanzioni o punizioni ritenute “inaccettabili”. Secondo costoro, infatti, i protocolli finora utilizzati nei luoghi di lavoro “bastano e avanzano” per garantire la sicurezza.

A questo punto, i leader di alcune forze politiche (facile individuare quali) hanno fatto sapere che sarebbe necessario “tornare al più presto a un tavolo con le parti sociali”. Il che vorrebbe dire rimettere in discussione le decisioni in materia prese dal Governo (con il consenso delle stesse parti sociali). 

Altro tema di scontro sull’utilizzo del green pass ha riguardato il personale scolastico e universitario. A onor del vero, va detto che durante l’estate gli studenti hanno risposto in massa all’appello lanciato dal Generale Figliuolo (il quale, con l’attenuarsi dell’emergenza, forse si mostrerà in abiti civili). Ragazzi e ragazze hanno fatto la fila per immunizzarsi, anche nei luoghi di villeggiatura. Il problema è sembrato riguardare soprattutto i docenti e il personale del mondo della scuola. Qualcuno, addirittura, ha minacciato di “procedere per le vie legali” senza un passo indietro da parte del Governo (che naturalmente non ci sarà).

È trascorso appena un anno e mezzo da quando, a inizio pandemia, i rapporti tra Governo e mondo del lavoro sul tema della sicurezza furono piuttosto collaborativi. Nel marzo 2020 nessuno faceva mistero di nutrire una grandissima stima, quasi un’ammirazione nei confronti dell’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E fu forse anche per questo motivo che non ci furono proteste significative nelle fabbriche contro l’introduzione delle mascherine, la rilevazione della temperatura, gli screening con i test sierologici e molecolari.

Adesso invece si sostiene che i protocolli vigenti sono sufficienti a garantire la sicurezza nelle aziende e che, perciò, il green pass non dovrebbe essere reso obbligatorio. Ma i protocolli sono stati sottoscritti anche per bar, ristoranti, cinema, teatri, treni, aerei. Ambienti pubblici in cui da tempo si sanifica, così da offrire garanzie di sicurezza agli utenti (per quanto è possibile). Anche lì, anche in quegli “ambienti di lavoro” non andrebbe sanzionato chi è sprovvisto della certificazione verde?

Viene allora da chiedersi da dove venga fuori questa grande sensibilità a vantaggio di chi obietta alla obbligatorietà della certificazione verde. E perché i leader politici e sindacali non siano altrettanto sensibili nei confronti di coloro che (regolarmente in possesso di green pass) dovrebbero esporsi a rischi vivendo la propria vita lavorativa a stretto contatto con persone non vaccinate, che potrebbero contagiarli. Sullo sfondo resta il nodo dei tamponi: la richiesta di Cgil, Cisl e Uil è renderli gratuiti per tutti, ma la linea del Governo (ad oggi) resta contraria, perché il rischio è quello di disincentivare i vaccini. In definitiva non c’è tempo da sprecare nella lotta al virus. L’obiettivo dell’80% di immunizzati per fine settembre è ancora raggiungibile, nonostante perplessità e resistenze. Ognuno è chiamato a fare la propria parte, con responsabilità.