Spesso nei nostri commenti sul “Domani d’Italia” ricorre la polemica sui rischi di un ritorno al clericalismo. Accade pertanto che qualcuno se ne adonti a ragione o a torto, laddove il torto consiste nel ritenersi investiti a sproposito, essendo la polemica indirizzata a buon conto verso altri interlocutori e per altre ragioni. Sono gli inconvenienti del dibattito politico, specie di questi tempi drogato e svilito.

Cos’è per noi il clericalismo? Potremmo definirne il senso ricorrendo alla inversione della formula con la quale un grande teologo definiva la laicità. “È laico – diceva all’incirca il nostro teologo – ciò che comporta il rispetto delle cose, assumendone il valore intrinseco”. Dunque, il clericalismo rappresenta all’opposto la svalutazione delle cose, arrivando in politica alla cancellazione del principio di realtà sull’onda di astratti presupposti morali – astratti non a motivo della loro nebulosità o evanescenza, bensì della loro meccanica traduzione nei fatti della vita, come se non implicasse, questo immergersi nell’opera quotidiana, un processo di mediazione all’interno di un determinato contesto culturale e civile.

Se si parla di un nuovo partito ispirato ai valori cristiani, la preoccupazione deve subito esercitarsi attorno alla pericolosità delle astrazioni, spesso viziate di generico volontarismo. A me non convince – e lo dico in spirito di amicizia a Giancarlo Infante – una proposta che prescinda dal giudizio concreto sulla realtà politica odierna. Il neo-Cardinale Matteo Zuppi, destinato a rappresentare il punto di riferimento dei cattolici italiani, ha voluto scorgere un’accresciuta manifestazione di unità dei credenti esattamente nella opzione anti-sovranista. Con ciò si consolida la posizione indicata da Papa Francesco.  Ora, chi si fa paladino di un nuovo partito, dovrebbe chiarire se l’anti-sovranismo fatto proprio dalla gerarchia ne determina l’accordo o piuttosto il disaccordo con la “rivoluzione parlamentare” che ha portato alla formazione del secondo governo Conte.

Non basta l’eco di una diversità – in questo caso rispetto a “sinistra” e “destra”, così da appropriarsi del “centro” – per fondare una posizione autonoma e nondimeno credibile. Qui sta l’errore dell’astrattezza e di conseguenza l’insidia del clericalismo: essere “altrove”, con la pretesa di fare a meno di classificazioni politiche, essendo queste deprivate di senso, per non essere mai purtroppo da nessuna parte.  Non è dato di capire, alla fine, se questo nuovo partito di centro nasca (o addirittura sia nato di già) per sequestrare nell’isolamento il voto dei cattolici o se debba aprirsi, com’è ovvio, alla necessaria dinamica delle alleanze.

E visto che siamo oltre le simulazioni, avendo di fronte l’epifania del suddetto partito, varrebbe la pena chiedere come voterebbero i suoi eletti in Parlamento in occasione della fiducia al governo. Finora non si è palesata nessuna intenzione precisa, sebbene nella virtualità della condotta che il quesito sollecita. Sì può essere anti-sovranisti, anche in ossequio alle preoccupazioni del Vaticano, senza prendere posizione a favore della nuova maggioranza di governo, formata in alternativa alla politica del sovranista Salvini? La questione, dunque, non riguarda l’opportunità di dar vita a una formazione di natura e vocazione popolare, conforme perciò alla tradizione del cattolicesimo democratico, bensì la coerenza di questa rispettabile e condivisibile aspirazione con la romantica seduzione dell’autosufficienza, poco importa se…cristianamente ispirata.