Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Il Mulino a firma di Francesco Devescovi

La pubblicità è un ottimo indicatore per segnalare le potenzialità di un mezzo di comunicazione. Nella storia dei media, il mezzo pubblicitario più forte ha sempre coinciso con il mezzo di comunicazione più diffuso: fino agli anni Ottanta il mezzo più importante è stato la stampa, attraverso quotidiani e periodici, quando il mercato della pubblicità era piuttosto contenuto; in seguito è subentrata la televisione, che grazie alle Tv commerciali è arrivata a detenere il 65% di un mercato che nel frattempo era esploso; adesso è il web che sta gradatamente subentrando alla Tv.

Nel 2020, infatti, il web ha raggiunto la televisione per quota di mercato. L’incontrastato dominio della televisione, che durava da quarant’anni, cioè dalla nascita delle Tv commerciali, sta quindi venendo meno. Entrambi i mezzi hanno il 43% di quota del mercato, ma è probabile che il web continui a erodere ulteriore terreno alla Tv; in particolare quando le potenzialità del web si potranno esprimere al massimo, quando avremo per esempio un’infrastruttura della rete che garantisca una velocità e una copertura del segnale adeguati agli standard tecnologici raggiunti dalla fibra ottica e in linea con quanto avviene nei Paesi più avanzati.

I dati e le immagini transitano sulla rete, che rappresenta le cosiddette autostrade informatiche. Proprio la funzione altamente strategica svolta dalla rete dovrebbe suggerire che essa sia considerata un bene pubblico e che le sue funzioni siano catalogabili come servizio pubblico. Idea che, però, non è presa in considerazione.

Vediamo qual è la situazione. Intanto si deve decidere chi deve ammodernare la rete e chi deve gestirla. Tim sta rinnovando la sua vecchia rete basata sul rame con la fibra ottica, mentre Open Fiber, società di Cassa Depositi e Prestiti (il 50% appartiene all’Enel, quota che sta per essere ceduta a un fondo estero), sta portando avanti una propria rete che, non operando direttamente nella telefonia, affitterà agli altri operatori privati. Per cui ci sono sostanzialmente due reti, col rischio di moltiplicazioni di costi e con la concreta possibilità che la copertura del segnale non arrivi nelle zone a «fallimento di mercato» per la loro scarsa densità. Il buon senso suggerirebbe, così da evitare duplicazioni e aumenti dei costi, che la scelta migliore sia quella di una rete unica, progetto di cui si parla da anni senza risultati finora concreti.

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