L’autore, critico letterario e scrittore, Marcello Camillucci, svolgeva queste riflessioni su “Il Popolo” nel giorno della ricorrenza del decennale della Festa di Liberazione.

La Resistenza è un termine che, se ha avuto un suo concreto significato storico in un determinato momento della evoluzione della storia italiana ha avuto anche un suo valore ideale, che sta a noi fare altrettanto concreto non permettendo che i significati da esso assunti per forza intrinseca di eventi e per testimonianza, sovente cruenta  di persone, vadano perduti. Questo valore ideale risulta dalla sublimazione di tutti gli impulsi originari che portarono a quel moto e che, come sempre nella incarnazione storica, poterono inquinarsi e mescolarsi a scorie eterogenee, ma non si snaturarono mai nel profondo. Sublimazione che ci permette di affisare una formula ideale in cui si sintetizzano le aspirazioni più alte delle forze motrici di questa età, di separare anzi quelle che preparano l’avvenire, mentre arricchiscono il presente, da quelle che corrompono l’avvenire, mentre depauperano ed avviliscono il presente. Resistenza, sotto questo profilo, è assurto a termine di contraddizione, che permette di isolare con chiarezza perentoria l’attivo dal negativo di quanto oggi si muove e cerca di prendere forma stilla scena politica nazionale. Nella sua negazione si trovano infatti compatte e consenzienti tutte le forze che echeggiano un passato deteriore ed hanno per esso una fatale e patologica nostalgia. Sarebbe vana, dunque, superata e respinta dalla vita la fede, la speranza, la volontà di sacrificio di una gioventù europea, che, se ha assunto il bel nome di résistance, della resistenza internazionale e concorde contro lo scempio dei propri paesi, contro l’onta di un’Europa hitleriana e l’orrore di un mondo hitleriano, non voleva semplicemente ” resistere”, ma sentiva di essere l’avanguardia di una meravigliosa società umana. Tutto ciò sarebbe stato invano? Inutile, sciupato, il loro sogno o la loro morte?» (Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea). Qui, mi sembra, è volta l’essenza della protesta morale della Resistenza: il volgere le spalle ad un mondo inferiore, barbarico e mettersi in cammino per un mondo migliore, più umano, anche se ciò significhi il sacrificio, la morte. Il nazismo, il fascismo, erano le contingenti cristallizzazioni di quella disumanità e irrazionalità che ogni tanto, riemergendo, castigano vichianamente le età mitologiche e provocano il ricorso della barbarie culta. Era un rifiuto a sottostare alla violenza, alla tirannide, e, come tale, pedagogia di ogni ulteriore rifiuto di fronte a simili circostanze storiche, anche se con mutati nomi. Quella “avanguardia” si ricostituirà sempre nelle Nazioni la cui gioventù almeno avrà conservato in sé, al di là della pratica milizia politica, una disponibilità etica alle grandi cause, una capacità a sacrificar loro le piccole, anche se degne, passioni di parte. 

Lo stesso mondo laicista non ha potuto non riconoscere alla Resistenza un valore religioso, cioè, per usare le parole di un rappresentante fra i più autorevoli di quel mondo, il Calamandrei, “quel carattere di ribellione morale e di dedizione disinteressata a un ideale di redenzione umana, che mi pareva comune a tutti gli uomini accorsi nella lotta di Liberazione, prima che per tema di disciplina di partito, per questa chiamata segreta venuta da una voce interiore della coscienza “. Convergenza che non poteva non andare perduta, attinto l’obiettivo primo e trasferitasi la lotta su un piano di concrete realizzazioni degli ideali animatori, ma che serba un grande valore morale in quanto attesta come, di fronte a concretizzazioni massicce dell’errore, sia possibile ottenere quello che nella minuta dialettica politica è impensabile, cioè una concorrenza di energie di eterogenea fonte e la loro collaborazione leale sino al raggiungimento del fine che è, per tutti, la condizione onde poter tornare a disputare ed a contrastarsi senza menomare l’essenza della conquista, nel caso specifico la libertà democratica. Garanzia ideale che domani, In una situazione di emergenza, tale situazione possa rinnovarsi.

Del che non può non ricavare nutrimento di fede e di speranza la causa appunto della libertà la quale, in regime di libera concorrenza di forze, sembra sempre la più debole, la fatalmente destinata a soccombere, per lo stesso errore prospettivo per cui ai moralisti superficiali sembra sempre che nel mondo il male sormonti il bene, del che la durata del mondo stesso è la più convincente negazione metafisica. Un altro grande valore della Resistenza mi piace desumerlo dalle palpitanti parole di un martire, G. Ulivi (fucilato nel novembre del 1944 sulla Piazza Grande dl Modena). Dopo aver accennato alla vastità dell’opera di ricostruzione che già si prospettava, aggiunge: << Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Mi chiederete, perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco, per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi giorni così tremendi, per Iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà: nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa, è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanami il più possibile da ogni manifestazione politica. E’ il tremendo, Il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa… Credetemi, la “cosa pubblica” è noi stessi; la Resistenza quindi come invito alla politica. Da quella partecipazione obbligata, da quel rischio necessario, la consegna a durare, a veder chiaro che i momenti di emergenza sono sempre preparati dai periodi di abbandono nei quali la politica è stata l’affare privato di coloro che, trovando intorno a sé il vuoto di una democrazia formale, l’hanno impiegata per i loro egoistici fini di parte che concludevano alla non necessità della politica da parte di tutti, perché essa era privilegio dei pochi, eletti da non si sa quale fato trascendente od investitura storica. Spogliarsi della credenza che la politica non sia che una malattia periodica (esercizio del voto) e un appuntamento fastidioso ai grandi consuntivi. Essa è la stalattite che emana, dalla goccia quotidiana della cooperazione cosciente di tutti, nessuno escluso. La pace, a ben considerare, non si dà mai, anche se gli uomini abbiano convenuto di ‘chiamare guerra solo un tempo contraddistinto da certe particolari situazioni di orrore. Perché queste non si diano, occorre che l’altra guerra, quella che va sotto il nome di pace, non presenti astensionisti o transfughi. L’equilibrio della pace è dei più instabili, lo assicurano solo le << presenze >> : le  <<assenze>> sì, siano frutto d’aristocrazia o di viltà, lo fanno sempre traboccare dalla parte dei violenti. 

La Resistenza come valore << europeistico >>. Essa è stata infatti un moto che, a prescindere dai contatti umani che ha provocato fra cittadini di diversa nazionalità, ha fatto passare in secondo piano le situazioni nazionali in quanto ha dimostrato che erano risolvibili solo alla luce di quelle occidentali e mondiali. Ha fatto toccare con mano che anche per la libertà vi era una sola speranza, salvarsi tutti insieme o perire, non vi era modo di salvarsi soli. E questo ha avuto un notevole peso nello svuotare della tradizionale retorica, il concetto risorgimentale di patria estendendone i confini all’area della libertà e nell’autenticare tutte le iniziative volta a volta possibili per questa dilatazione del concetto di patria, risolventesi non in un astratto cosmopolitismo ma in una concreta fraternità di libertà dialetticamente armonizzantesi fra loro. Non siamo degli adepti della <<religione della libertà>, crediamo che solo nella libertà le religioni possano attuarsi senza snaturarsi e raggiungere la pienezza del loro fine sociale.

E per l’Europa essere libera vorrà dire avere una probabilità di più di essere o di tornare ad essere — nella misura e nelle parti in cui abbia cessato di esserlo — cristiana. Ascoltiamo le parole di un tedesco che non si è schierato con anti- Europa, esiliato in patria e che ha accettato senza cerimonie l’espiazione della nazione. Ecco come rievoca il dramma di tanta parte, almeno la migliore, della gioventù travolta dalla avventura hitleriana: «Sapevano molti che si trattava di una cosa ingiusta ed odiavano chi li mandava. Ma credevano che fosse dovere del soldato obbedire e obbedivano. Essi portavano un peso che nessuno conosceva, ma non osavano gettarlo via. Le loro mani restavano pure anche quando il sangue le arrossava. Nelle bufere delle battaglie erano così sconfinatamente soli e abbandonati, che la morte era per essi liberazione. Prendevano su di sé anche la morte, come avevano preso su di sé la semplicità» (E. Wiechert: Discorso alla Gioventù tedesca, 1945). La custodia e la propagazione degli ideali della Resistenza varranno anche per i vinti, per coloro che hanno accettato la complicità senza la morte, a riportarli nella famiglia dei popoli liberi, dopo che avranno cicatrizzato in se la piaga dell’offesa o della rinuncia alla libertà che, proiezione preziosa dello spirito, non può essere sottratta agli altri se non dopo esserne spogliati. Il tempio non potrà colmarsi senza i catecumeni che ancora attendono nel pronao: la libertà, non avendo fra le sue armi la violenza, ha bisogno di poter convertire i suoi carnefici di ieri o i loro alunni. E questo sarà tanto più possibile quanto più la Resistenza non si rinnegherà e continuerà, nell’ambito della conquista civile, la sua battaglia con immutato ardore e generosità.

La Resistenza è oggetto di sfruttamento di parte, di appropriazione indebita, di contrabbando illegale? Molti di coloro che ne hanno piena la bocca rigurgitano nel cuore della <<selva di barbarie>> stessa contro cui la Resistenza si armò? Ai piedi delle querele più nobili allignano sovente i funghi più pericolosi. Quanti nemici non ha contato lungo la sua storia millenaria il Cristianesimo fra coloro che ne alzavano la bandiera, ma ne misconoscevano lo spirito? Ebbene, che della congerie di consonanze ideali raccoltesi intorno al tema della Resistenza, la componente cattolica abbia consento la genuinità dell’accento originario, la fedeltà antica pur nella diversa prospettiva storica, ciò non potrà tornare che ad onore del cattolicesimo e varrà a tacitare le gracili e roche dissonanze che si fanno udire sulla barricata opposta, in cui si corrompe un passato che non è ancora riuscito, per manco di coraggio morale, a seppellire i propri morti.