La sinistra gronchiana, come può ben intendersi dalla denominazione, era una corrente interna alla Democrazia cristiana che si raccolse intorno alla figura del leader Giovanni Gronchi.

La figura ed il pensiero politico di Gronchi sono stati spesso oggetto di critiche e di giudizi negativi in merito alla sua prassi politica: spesso è stato definito un “opportunista”, un carattere della più retriva destra democristiana che per pura convenienza amava definirsi di sinistra.

Atteggiamenti e prese di posizione che risultano essere del tutto avulse da una ricostruzione storico-ideale conforme a quelle che erano allora le posizioni interne delle sinistre democristiane.

Ma, al di là di questi atteggiamenti storiografici del passato, vogliamo mettere in luce con questa riflessione il contributo che ha dato la sinistra gronchiana (o se si preferisce la corrente democristiana gronchiana) all’interno dell’intero dibattito politico di allora.

Da questa visuale non è difficile rilevare come le idee dei gronchiani (soprattutto quelle del leader) costituivano senza dubbio una rivoluzione democratica per il movimento politico dei cattolici italiani.

In realtà, pur non disconoscendo un atteggiamento politico a volte opportunistico o spregiudicato del gruppo gronchiano, tutta la storiografia che si è cimentata in questa distorsione del pensiero e degli atteggiamenti politici concreti di Gronchi, spesso è stata al soldo del potere economico.

Il pensiero di Gronchi, invece, si poneva (parallelamente al dossettismo) in alternativa a quello di De Gasperi.

E’ opprtuno ricordare che già durante la Resistenza, Gronchi era collegato ad alcune esperienze sindacaliste: nei primi anni della Repubblica, egli rappresentò una tra le figure di spicco della cosiddetta ala sindacalista della Democrazia cristiana. In seguito, quando Giulio Pastore monopolizzò la corrente sindacalista della Dc, Gronchi, insieme ai suoi amici più fedeli, dava vita al gruppo che, per l’appunto, prese da lui la denominazione.

Gronchiani erano Cappugi, Di Lisa, Morelli, Gatto, Colasanto, Folchi, Rapelli, Rubinacci; gronchiano era all’inizio Nicola Pistelli, collegandosi dopo alla giovane sinistra democristiana de “La Base”.

I gronchiani pubblicavano una rivista settimanale dalla significativa denominazione “Politica Sociale” (ripresa da Giovanni Galloni quando, nel marzo 1994, usciva il primo numero di “Nuova Fase”, nella cui prefazione si faceva espresso riferimento ad “organi di stampa, tra i quali ebbe un posto particolare Politica Sociale”).

Politica Sociale” iniziava le pubblicazioni sin dal 1946 e continuava fino ai primi del 1955. Dal 1951 la direzione del settimanale era del molisano Eny Nicola Di Lisa che, quando il settimanale cessa le pubblicazioni, insieme a Nicola Pistelli decise il nome della rivista che quest’ultimo stava fondando a Firenze (la rivista assunse la denominazione di “Politica” proseguendo le pubblicazioni sino al 1964, anno di morte del Pistelli).

Il gruppo gronchiano si caratterizzava soprattutto a livello parlamentare: la figura di Gronchi (essendo egli prima presidente del Gruppo parlamentare democristiano alla Camera dei deputati e poi presidente della stessa Camera) suscitava un certo fascino sui parlamentari per la sua oratoria limpida, fluente, ben accetta anche agli uditi più reticenti.

A livello di partito, il gruppo gronchiano non riusciva, però, a far presa sugli iscritti. In realtà, come mi testimoniò uno dei protagonisti di quella vicenda, Eny Nicola Di Lisa (in un gentile colloquio a Roma nel giugno del 1987 e poi come scrisse in un articolo su “Civitas Humana” lo stesso anno), Gronchi, già all’atto di annodare le fila della Dc, si mostrò sempre contrario a “versare le sue ragioni politiche nella tramoggia del tesseramento”.

Pertanto, tutta l’azione politica di Gronchi, la sua elezione alla Presidenza della Repubblica, costituirono il filo conduttore di una scelta politica precisa, coerentemente derivata da un pensiero limpido, mai incline ai compromessi.

Giovanni Gronchi era uno tra i primi democristiani ad avvertire i problemi dello Stato sociale: nei primissimi anni della ricostruzione, egli era convinto che la Dc doveva adoperarsi per una rivoluzione cristiana che abbattesse i vecchi privilegi dello Stato liberale, al fine di coinvolgere le masse popolari nella vita dello Stato.

Da qui la distinzione ed il conflitto con De Gasperi. Tutta l’azione politica di Gronchi, sia nel partito (egli propose al congresso di Napoli del 1954 l’adozione del sistema proporzionale, respinto dal correntone di Iniziativa democratica), sia nel campo più propriamente istituzionale, aveva questo cruccio, questa insofferenza, questo desiderio che gli rodeva dentro: far riscoprire alla maggioranza dei notabili Dc le origini popolari e antifasciste del Partito.

Letta da questo punto di vista, la vicenda della sinistra gronchiana mostra tutta la sua chiarezza, la sua disinteressata forza di impegno.

Perché sinistra? La risposta a questa domanda nel 1987 la dava il già citato Di Lisa che riprendeva un pensiero di Tarcisio Pacati (un deputato bresciano) che verso la fine del 1949 definiva la sinistra democristiana in questi termini: “una sinistra denocristiana implica atti fra interessi in gioco con il vincolo che, essendo il potere di scelta conferito dal popolo, debbano gli interessi popolari avere sempre la prevalenza e la precedenza”.

Una sinistra, dunque, che si connotava sul piano sociale. Il problema dello Stato sociale, infatti, era il tema caro alla componente gronchiana. Gronchi e i suoi amici sentivano costantemente l’assillo per una Dc che, pur definendosi Partito di ispirazione cristiana, dimenticava questa connotazione o troppo concedeva ai potentati economici sul piano delle riforme sociali.

A giudizio di Gronchi, lo Stato democratico nato dopo il ventennio fascista non poteva rifarsi tout court all’esperienza liberale. Stato democratico e Stato liberale non potevano coincidere.

E’ questo un filo rosso ideale che caratterizzava tutte le varie esperienze di sinistra democristiana.

La sinistra gronchiana, pur nella sua breve esistenza, ha rappresentato quella esigenza sociale della ispirazione cristiana della politica che lo stesso Gronchi individuava, nella congiuntura politica di allora, nel famoso radiomessaggio di Pio XII del Natale 1942.

Il radiomessaggio del Pontefice, in uno dei suoi passaggi essenziali, metteva in luce i disagi dell’operaio quando questi tentava di migliorare la propria condizione sociale.

Questi disagi, lungi dall’essere fenomeno naturale, cioè insiti nella vita sociale, costituivano la barriera appositamente creata da quanti agivano nella società in vista del semplice profitto personale.

Ora (sosteneva Gronchi) questa struttura sociale, questo desiderio puro di profitto economico, contrastavano con la missione che Dio ha affidato all’uomo: quella cioè di operare ovunque, in ogni campo della vita in vista del bene comune.

Perciò il passaggio dallo Stato liberal-borghese a quello “sociale” non costituiva per Gronchi una “interpretazione arbitraria o forzata”, ma si inseriva direttamente sulla stessa posizione di identità dei cattolici, quando dovevano scontrarsi, da un lato, con il dato di un magistero ecclesiale che indicava loro la strada di quale dovesse essere l’orientamento ed il conseguente impegno nella vita pubblica; dall’altro, invece, di militare nella stragrande maggioranza in un Partito politico (la Dc) che troppo spesso segnava il passo nella concretizzazione dei principi propri della dottrina sociale cristiana.

Il filo conduttore del pensiero di Gronchi può essere individuato nel suo discorso pronunciato al V congresso della Dc nel 1954 a Napoli.

Egli, in quell’occasione, attaccava senza mezzi termini i sistemi economici monopolistici retaggio del vecchio Stato liberale: perché il monopolio non solo distruggeva la media e piccola azienda, ma, eliminando il principio della concorrenza, di fatto produceva un danno notevole alla massa dei consumatori, costretti a vedersi imposto un prezzo ed un prodotto senza alcuna possibilità di scelta.

Ma la critica serrata allo Stato liberale, certamente non portava Gronchi ad assumere una posizione statalista tipica dei sistemi socialcomunisti. Anzi, anche su quest’altro versante il pensiero grochiano si snoda lungo un percorso originale e chiaro: “lo statalismo – affermava – è una degenerazione delle funzioni dello Stato”.

Una concezione, dunque, che rifiutava sia il liberismo che lo statalismo, individuando una finalità positiva dello Stato nella funzione di intervenire nella vita economica del Paese per rimuovere gli ostacoli di ordine economico-sociale che relegavano le masse popolari in una condizione di indigenza, condannandole così ai margini della vita dello Stato ed impedendo a quest’ultimo di evolvere in senso democratico.

In conclusione, possiamo dire che la vicenda della sinistra grochiana ha rappresentato un tratto di storia politica ideale per la Dc che certamente non andò disperso (basti pensare alla rivista dei basisti “Stato Democratico” fondata da Luigi Granelli e a tutte le battaglie condotte per l’autonomia della politica dagli stessi basisti tra i quali è d’obbligo ricordare figure come Aristide Marchetti e Gian Maria Capuani), ma che ha continuato lungo il sentiero dei cattolici democratici all’interno della Dc nella Prima Repubblica e poi con il Partito Popolare Italiano.

Su Gronchi e sulla sua corrente ci sono state in passato diverse critiche, spesso senza costrutto e con motivazioni che non avevano niente sul piano ideale. Basti pensare ad autori come Giorgio Galli e Paolo Facchi, ma anche allo stesso Gianni Baget Bozzo, che etichettarono l’esperienza gronchiana come “spregiudicata” e “velleitaria”.

E pur tuttavia, volendo anche riconoscere una certa spregiudicatezza dei gronchiani a livello parlamentare, si è trattato in larga misura di critiche gratuite se si analizzano con la dovuta attenzione il pensiero di Gronchi ed i temi affrontati dalla rivista “Politica Sociale”.

Non è stato certamente un caso se quando nasceva la rivista “Nuova Fase”, nel marzo del 1994, sia nella prefazione che nell’introduzione di Giovanni Galloni, si faceva esplicito riferimento a “Politica Sociale non per mero gusto di rievocazione, – si leggeva nella prefazione – bensì per l’esigenza di attingere ad un patrimonio di idee indispensabili al risanamento ed al recupero di efficienza del sistema politico democratico.”

Ed alla stessa guisa l’introduzione di Galloni iniziava affermando che “Nel momento in cui entriamo in una nuova fase della politica e forse della stessa civiltà, l’uscita di una Rivista che si richiama a politica sociale può apparire come una provocazione e una sfida al pensiero oggi dominante, secondo il quale la crisi ormai irreversibile del comunismo internazionale e i limiti della politica del Welfare State, avrebbero ormai condannato ogni prospettiva di Stato e quindi di politica sociale.”

L’attualità delle idee di “Politica Sociale” può essere colta già con queste autorevoli citazioni; ma più in generale dai fenomeni sociali e politici contemporanei, dalle condizioni di quasi povertà in cui vive la maggioranza del popolo italiano, con gli attuali “Partiti” che non riescono ad essere convincenti sul piano dei programmi e delle proposte.

I tempi cambiano, certamente, ma i poveri sono sempre gli stessi, ieri come oggi; per questo sono ancora valide le idee di “Politica Sociale” che spetta ai cattolici democratici riprendere con forza e con coraggio nell’attuale congiuntura economica e sociale.