Dal mondo degli amministratori locali, attraverso la voce dell’Associazione dei Comuni, è venuta con largo anticipo la richiesta di stabilità, tanto per Palazzo Chigi che per il Quirinale.  

A poca distanza dall’evento, la rielezione di Mattarella è perlopiù esibita come una scelta dell’ultimo momento, quasi un atto di disperazione, senza un adeguato convincimento dei partiti. È la versione dei fatti più semplice e spietata, quella che inchioda i leader alle loro insufficienze, rianimando la polemica dei tanti cultori dell’antipolitica. Indubbiamente, è ciò che appare in superfice: troppi tatticismi, troppe furbizie, troppo armeggiare attorno alle convenienze di parte, legandole a  proclami altisonanti in onore del bene del Paese. Tuttavia, a fatica si riconosce quanto invece ha pesato il ruolo un po’ corsaro, ma non per questo immeritevole di lode, dei parlamentari “in libera uscita”, per i quali il voto a Mattarella ha rappresentato fin da subito un gesto di esaltazione della indipendenza del Parlamento.

L’obiezione è altrettanto semplice, addirittura scontata. Si dice, infatti, che i “peones” avevano a cuore solo la durata della legislatura, e quindi il loro tornaconto a proseguire per un altro anno nell’ufficio di parlamentari. E chi lo nega? Tuttavia, restringere l’analisi di un comportamento che è lievitato seduta dopo seduta, fino a diventare la prova evidente della opportunità di un nuovo appello a Mattarella, non corrisponde alla consistenza di un fenomeno inquadrabile, appunto, come presa d’atto della soluzione più saggia, stavolta sì adottata per il bene del Paese. È stata premiata la volontà di conservare un “assetto di guida”, con Mattarella e Draghi, che l’Italia non può permettersi di abbandonare per sciatteria o calcolo spregiudicato.

Ci sono impegni da onorare con l’Europa, opportunità da raccogliere e indirizzare, emergenze da mettere sotto controllo: in questa fase una tregua operosa e costruttiva non deve apparire alla stregua di un accomodamento. Abbiamo un’economia da rimettere sui giusti binari, immaginando di identificare le basi costitutive di un nuovo modello di crescita e di sviluppo; dal che deriva, anche, la preoccupazione di come questa impresa abbia a realizzarsi, se con un ristagno di pratiche consolidate o un soprassalto di innovazione, specie in campo amministrativo. Le riforme camminano sulle gambe dell’apparato burocratico dello Stato, ma soprattutto dei Comuni.

Non è un caso che dal mondo degli amministratori locali, attraverso la voce dell’Associazione dei Comuni, è venuta con largo anticipo la richiesta di stabilità, tanto per Palazzo Chigi che per il Quirinale. Infatti il Presidente dell’Anci, Antonio Decaro, dopo l’Assemblea annuale tenutasi a Parma lo scorso novembre, aveva formulato a chiare lettere il suo auspicio affinché Mattarella potesse rivedere il suo diniego all’ipotesi di un secondo mandato: “Mi piacerebbe […] che tutte le forze politiche, tutte, glielo chiedessero”. Certamente, Decaro parlava a titolo personale, ma si faceva interpre di un sentimento molto diffuso tra i Sindaci e i consiglieri comunali. Un sentimento adesso ancora più forte. In pratica, senza cadere nella retorica, esiste un “partito degli amministratori locali” che fa da infrastruttura sul territorio a quella forte corrente di opinione pubblica che riserva stima e simpatia a una persona ritenuta sicuramente degna, per lo stile pacato e la coscienza ferma, di questa preziosa reinvestitura alla più alta carica rappresentativa della Repubblica.

Luca Bedoni, Presidente dell’Assemblea del IX Municipio di Roma Capitale.