La storia non può essere distorta o ignorata. Ricordare La Torre vuol dire anche riconoscere l’impegno della Dc contro la mafia.

 

Non è accettabile questa tendenza a cancellare il contributo determinante del mondo democristiano alla definizione di strumenti legislativi idonei a combattere i fenomeni di stampo mafioso. I fatti stanno a dimostrare che la Dc ebbe idee chiare e apprezzabile coraggio.

 

Maurizio Eufemi

Leggevo ieri sulla rassegna stampa un articolo di Giancarlo Caselli, commemorativo del compianto Pio La Torre, che merita qualche puntualizzazione.

 

È veramente curioso assistere a uno stravolgimento della storia. Mi limiterò ad alcune osservazioni elementari. Cominciamo dal titolo della legge, che Caselli assegna a La Torre; riscontriamo perfino la rimozione di Virginio Rognoni, Ministro dell’Interno, promotore della iniziativa governativa sottoscritta anche da Clelio Darida e Rino Forrmica, rispettivamente Ministri della Giustizia e delle Finanze.

 

Anche uno studente delle medie sa che senza l’avallo del governo quella legge non avrebbe fatto passi avanti. Al contrario, c’era la ferma volontà della Dc di portare rapidamente all’approvazione quel provvedimento in materia di legislazione antimafia. È sufficiente leggere gli atti parlamentari. La legge Rognoni-La Torre fu approvata in sede legislativa, quindi in commissione, sia alla Camera che al Senato.

 

Anche un bambino sa che basta il diniego di un gruppo parlamentare per non concedere la sede legislativa, determinando di conseguenza il passaggio “normale” in Aula (con allungamento dei tempi e incertezza sull’esito). Il gruppo Dc fu in prima fila e con tutto il suo peso parlamentare, avendo presentato una mozione di indirizzo firmata da tutto il Direttivo, con un ruolo determinante di Calogero Mannino nella stesura, al fine di sostenere e strutturare una strategia di lotta alla mafia dopo l’uccisione di Piersanti Mattarella.

 

Per capire il contesto è sufficiente leggere la relazione  Rognoni che accompagna il testo dell’articolato, compresi gli interventi nel processo penalistico. I relatori Dc furono Giovannino Fiori alla Camera e Learco Saporito e Mario Valiante al Senato. Nicola Mancino motivò la dichiarazione di voto Dc in Senato. Per la Dc intervennero nel dibattito La Penta, Agrimi, Coco, Vitalone, Calarco, La Russa e alla Camera Raffaele Russo, Zolla, Carlo Casini, De Cinque, Gitti, oltre ai Ministri anche i sottosegretari Giuseppe Gargani e Angelo Sanza.

 

Nelle commissioni riunite l’esame del testo inizia il 3 marzo 1982. Il 5 agosto viene esaminato in sede legislativa, poi subentra l’interruzione per la pausa estiva. A settembre sarà approvata. Dunque, molte congetture e scarsa adesione alla realtà: dobbiamo invece rendere omaggio all’impegno dei parlamentari Dc facendo ricorso correttamente, a dispetto di quanto detto o non detto da Caselli, a un atto di verità e di giustizia.

 

Semmai verrebbe da chiedersi, in questo frangente, dove sono gli amici di Virginio Rognoni. Perché non sentono il dovere di difendere la storia, prima ancora dell’ex Ministro? Per ora mi fermo più. Aggiungo solo che molti di questi avvenimenti li ho illustrati al Tribunale di Palermo sotto giuramento in un giorno particolarmente triste per me, il giorno successivo ai funerali di mio padre. E poi sono argomenti e rilievi che direttamente proposi, con precisione, al dott Caselli in un pubblico dibattito a Venaria Reale di fronte a centinaia di studenti. Troppo spesso, non potendo riconoscere i meriti della Dc, si tende a ignorare la storia.