La Treccani stila un elenco di romanzi imperdibili e vi inserisce “La coscienza di Zeno”

La lista, ideata con la supervisione scientifica e il sostegno della Fondazione per l’arte e la cultura Lauro Chiazzese,  propone 10 romanzi da riscoprire e rileggere per conoscere il Novecento. Per ogni romanzo la Treccani mette a disposizione una breve analisi dell’opera.

 

Redazione

 

La coscienza di Zeno è il romanzo psicoanalitico di Italo Svevo pubblicato nel 1923.

 

L’isolamento dell’io si approfondisce nel terzo romanzo, che fa di Svevo uno dei grandi maestri del personaggio vociferante e solitario, discendente del dostoevskiano «uomo del sottosuolo». Durante il viaggio di nozze a Venezia, la moglie di Zeno Cosini ammira scorci di giardini e campanili vibranti nell’acqua.

 

«Io, invece, nell’oscurità, sentivo, con pieno sconforto, me stesso» ricorda Zeno (La coscienza di Zeno, cit., p. 157). Questa è la situazione sorgiva della Coscienza: un uomo ironico e sempre più solo studia sé stesso e gli effetti prodotti su di lui dagli altri (la trama dei traumi, le «lesioni» ricevute o, più raramente, inflitte). L’impulso che lo muove è una domanda: chi sono io? Per assisterlo l’autore gli mette in mano «la scienza per aiutare a studiare se stesso» (Soggiorno londinese, in Teatro e saggi, cit., p. 893): la psicanalisi. Nasce così uno dei romanzi più singolari del Novecento, capace di assorbire la teoria freudiana a diversi gradi di profondità, convertirla in racconto e poi metterla in scacco, insieme al racconto stesso. In sintonia con le sperimentazioni della letteratura del suo tempo, ma in modo meno esibito e più sottile, la sua forma congeda la tradizionale linearità della trama romanzesca: affianca un testo-cornice (la Prefazione del dottor S.), l’autobiografia di Zeno – che segue un ordine policentrico ed episodico più che causale e cronologico, e si dissemina di riflessioni e aforismi – e infine il suo diario.

 

Ciascun testo smentisce gli altri, destando sospetti su ogni pagina. E tuttavia il protagonista ci persuade ad addentrarci nell’opera prendendo sul serio il suo «proposito» più grande: scrivere per conoscersi e ottenere la «salute», cioè una vita più felice e buona (ne ha molti altri, tutti disattesi, tra cui smettere di fumare). Zeno però, che vuole cambiare, non fa che ripetersi; e anche con la verità cui aspira ha un rapporto complesso: «Ricordo tutto, ma non intendo niente» (La coscienza di Zeno, cit., p. 32).

 

 

Come molti romanzi modernisti, la Coscienza vuole essere non solo una semplice storia, ma soprattutto un’«avventura intellettuale», per usare l’espressione scelta da Musil per Der Mann ohne Eigenschaften (1930-1942; trad. it. L’uomo senza qualità, 2 voll., 1956-1962): si incentra sull’imperativo del ‘conosci te stesso’, di cui i fatti narrati non sono che l’oggetto molle ed evanescente. Dalla psicanalisi Svevo trae innanzitutto il paradigma del racconto rammemorante allo scopo di fare luce sul senso dell’agire umano; un agire compulsivo, oscuro e posseduto dal desiderio (il romanzo è intriso di eros), ma proprio per questo bisognoso di essere interpretato. Eppure l’opera è anche avvolta di ambiguità e segretezza: convivono in Zeno, ossimoricamente, una tensione allo «studio» e una all’occultamento. Come gli altri protagonisti sveviani, anche Zeno è incline all’autoinganno. Ed è sepolto nel linguaggio, di cui teorizza in più luoghi la natura falsa e potente, che lo spinge a preferire al dialogo il silenzio: «Le parole bestiali che ci lasciamo scappare rimordono più fortemente delle azioni più nefande», avverte; «la stupida lingua agisce a propria e a soddisfazione di qualche piccola parte dell’organismo […] si muove sempre in mezzo a dei traslati mastodontici» (p. 283).

 

Ma non si tratta solo di questo. Intelligentissimo, Zeno si muove con imbarazzo e inquietudine, ma anche con ironia e «leggerezza incredibile»: vacilla e glissa. Il suo mondo è fluido e vi troneggia un nuovo edificio: la Borsa del Palazzo del Tergesteo, il luogo della speculazione e del gioco (gli sfondi sveviani sono sempre insieme realistici e astratti, semantici). E Zeno gioca, come un attore in maschera e come un giocatore d’azzardo che si abbandona al caso e vince misteriosamente.

 

Perciò troviamo in lui anche un consapevole ricorso, e un diritto rivendicato, alla falsificazione e al non sapere: mente, inventa, trascura, omette. Di alcune sue storie, per esempio, afferma: «Erano vere dal momento che io non avrei saputo raccontarle altrimenti. Oggidì non m’importa di provarne la verità» (p. 82).

 

Tra le cose che Zeno cerca a lungo di ignorare ne spicca una: la guerra. La Coscienza fa parte delle opere capitali della cultura europea degli anni Venti-Trenta che portano inscritto, a loro fondamento, lo shock del conflitto mondiale: Der Zauberberg (1924; trad. it. La montagna magica, 1932) di Mann, Der Mann ohne Eigenschaften di Musil, Die Schlafwandler (1931-1932; trad. it. I sonnambuli, 1960) di Broch, Jenseits des Lustprinzips (1920; trad. it. Al di là del principio di piacere, 1974) di Freud. Ma qui la guerra entra alla chetichella, come Zeno che la incontra vagabondando per la campagna nell’ultimo capitolo del romanzo. Ne riceve i segnali e li nega, e abbraccia con inedita ma sinistra gioia la sua vita proprio lungo le rive dell’Isonzo («seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia […] le amai, le intesi!», p. 401). E se in Der Zauberberg Castorp avanza sublime nel fango dei campi di battaglia cantando la Winterreise, Cosini ci capita per sbaglio e ha un solo grande problema: come attraversare la linea del fronte per tornare a casa e «arrivare finalmente al [suo] caffelatte». È tipico dei mondi sveviani – in questo davvero freudiani – che si possa incappare in avventure inaudite mentre ci si appresta a sorbire un caffè; Svevo inverte le maiuscole e le minuscole: se il quotidiano si ingigantisce in tic nevrotici onnipotenti (si soggiace a forze incoercibili che hanno le dimensioni di una sigaretta), gli eventi e i problemi più enormi si aggirano con ostentata noncuranza tra le pieghe della banalità, «come i principi dell’opera travestiti da mendicanti» (J. Breuer, S. Freud, Studien über Hysterie, 1895, in S. Freud, Gesammelte Werke, 1°vol., 1952, p. 282).

 

Il capolavoro sveviano delle inversioni e delle ambivalenze concettuali è l’ultimo capitolo della Coscienza. Qui Zeno affida al suo diario temi di riflessione densissimi: si dichiara sano in quanto felicemente incurabile e rifiuta la psicoanalisi come terapia; celebra l’incompiutezza dell’essere umano («ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell’immobilità»); decreta l’infermità del mondo e ne predice la scomparsa. E soprattutto fa scomparire sé stesso: difende a lungo l’intrinseca falsità di tutto ciò che finora ha raccontato, abolendo in poche pagine l’intero romanzo che le precede e deridendo la credulità del dottor S. («quel bestione»), che lo incoraggiava a scrivere per «vedersi intero».

 

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