Sul “Corriere della Sera” di oggi (ieri per chi legge) c’è una significativa intervista al pilota britannico più vincente della storia della F1, Lewis Hamilton. Di quelle da ricordare, perché non si ha la necessità di promuovere un libro in uscita e si può conversare a ruota libera (e a cuore aperto). Quando ciò riesce, vale la pena continuare ad alzarsi la mattina e comprare i giornali.

Sir Lewis Hamilton si trova in una fase dell’esistenza in cui non ha più molto da chiedere allo sport (tutti i record della F1 sono saldamente suoi) ma ha ancora molto da chiedere alla vita. Il desiderio di un maggiore impegno nel sociale emerge con forza, quasi balza fuori dalla pagina. Il giornalista se ne avvede e glielo chiede. Il campione quasi si schermisce (“non sono bravo in politica”) fingendo di non sapere che nel suo Regno Unito non esiste solo il numero 10 di Downing Street. Nel 2016 disse pubblicamente che al referendum sull’Unione Europea si augurava la vittoria del Remain perché “io mi sento di casa a Londra come a Bruxelles”. 

Uno sportivo che sa prendere le difese della collega Naomi Osaka, la giovane tennista – afroamericana – ritirata dal Roland Garros per problemi di depressione: “essere multati per aver parlato della propria salute mentale non è stato elegante, tutte le reazioni pubbliche contro di lei sono state ridicole. E’ una grande attivista e una grande atleta: ma ricordiamoci prima di tutto che è un essere umano”.

Ancora, il rimpianto per non aver potuto incontrare uno dei suoi miti di gioventù, Nelson Mandela, con la consapevolezza odierna: “Certo, se potessi rivederlo ora gli chiederei come ha fatto a prendere un thé con le guardie carcerarie che lo tenevano prigioniero a Robben Island”. 

Il tema del razzismo per il leader della F1 (secondo figlio di padre nero e madre bianca) è quasi una ragione di vita. Lo slogan black lives matter nello sport è opera sua e dei colleghi del basket NBA. Negli Stati Uniti il tema è esploso in conseguenza della morte di George Floyd, ma in Europa la spinta propulsiva risale a qualche mese prima. Certamente l’anno della pandemia ha giocato un ruolo importante “nel ripensare il nostro sport in modo diverso, più inclusivo”. Sono le parole di un futuro leader politico? Ai posteri l’ardua sentenza…