Già pubblicato su Huffingtonpost

Nicola Zingaretti, malgrado le insistenti e ripetute sconfitte elettorali a livello locale – quasi ovunque – e a livello nazionale, continua imperterrito a sostenere che la “vocazione maggioritaria” del suo partito è l’unico orizzonte politico entro cui si può e si deve muovere nel futuro. Una tesi indubbiamente ambiziosa ma anche un pò ardita alla luce dei consensi che il Pd sta raggranellando in giro per l’Italia. Al riguardo, è inutile fare l’elenco delle sconfitte, anche storiche, nelle varie amministrazione locali.

Ora, come si possa continuare a parlare di “vocazione maggioritaria ” in un contesto del genere resta francamente misterioso. Anche perché in Italia “la politica è sempre stata politica delle alleanze” per dirla con una felice battuta di Mino Martinazzoli. E pensare che basti un solo partito – ovvero l’autosufficienza politica ed elettorale -,per centrare l’obiettivo della vittoria finale resta, nella migliore delle ipotesi, più un auspicio se non un mero desiderio. Anche perché la sterzata, comprensibile e anche fondata, di Zingaretti di fare del Pd un novello Pds, chiude definitivamente ed irreversibilmente ogni possibilità per il partito della sinistra italiana – sempre che ci riesca – di ridiventare largamente maggioritario nella pubblica opinione del nostro paese. Ed è per questo motivo che permangono molti dubbi e perplessità sul metodo che il Pd di Zingaretti vuol intraprendere concretamente nella costruzione di una alleanza o di un “campo aperto”, come lo definisce il Presidente del Lazio. Ovvero, una sorta di alleanza che nasce per gentile concessione del segretario del partito di maggioranza relativa, il Pd appunto, che autorizza i singoli a fare un partito funzionale alla potenziale vittoria della alleanza. Insomma, una sorta di “lodo Calenda”, dove si chiede l’autorizzazione a Zingaretti e poi ci si mette in proprio. Un metodo singolare ma non affatto nuovo nella politica italiana. Nel caso specifico, si tratta della riproposizione della concezione egemonica di gramsciana memoria che individua un solo protagonista attorniato da una serie di movimenti satelliti con scarsa personalità politica e funzionali alla sola affermazione politica ed elettorale dell’azionista di maggioranza. Un metodo e una prassi che difficilmente potranno decollare con successo ed inclusione. O meglio, che sia in grado di attecchire nell’attuale fase politica italiana.

Ecco perché quando si parla di “campo aperto” occorre intendersi bene sul che cosa significa concretamente questo progetto politico. È sufficientemente noto a tutti che una coalizione come il centro sinistra, anche in una fase storica molto complessa ed articolata com’è quella contemporanea, può competere solo e soltanto se c’è un “centro” visibile e autonomo accompagnato da una cultura politica, da un progetto politico e da un vero radicamento sociale e una “sinistra” altrettanto visibile, percepibile e coerente sul terreno politico, sociale e culturale. Senza questa precondizione qualunque altra ipotesi pianificata a tavolino è destinata ad infrangersi contro gli scogli del realismo e della concreta situazione politica italiana. E questo anche perché oggi c’è un vuoto politico ed elettorale da colmare. Lo dicono i sondaggisti più quotati ma è una sensazione largamente percepita. Tutti sanno che ci sono moltissimi elettori che si rifugiano nell’astensionismo o che continuano a votare stancamente i partiti esistenti in mancanza di altre offerte politiche ed elettorali. Ed è per questa semplice ragione politica che i partiti sono credibili, interlocutori e quindi votabili se ricavano la loro credibilità dalla battaglia concreta nella società senza mendicare autorizzazioni o permessi dagli azionisti di maggioranza.

I “partiti contadini” come venivano definiti ai tempi della guerra fredda o “satelliti” per adoperare una terminologia più moderna, sono strumenti e modalità che denotano una concezione alternativa alla costruzione di una coalizione o di una alleanza realmente competitiva e alternativa al centro destra. Per questi semplici e sacrosanti motivi, almeno questa è la mia opinione, quando si parla di coalizione politica ed elettorale vanno archiviati alcune costanti di fondo. A cominciare dalla “vocazione maggioritaria”, appunto, e dalla grottesca concezione che autorizza il partito più grande a distribuire le carte per comporre l’intero mosaico.

È bene che lo sappiano il Pd di Zingaretti e anche tutti coloro che non si riconoscono nel neo Pds ma che intendono perseguire il disegno e il progetto politico di un vero, autentico e credibile centro sinistra. Senza rimpianti del passato ma
con la consapevolezza che oggi serve una coalizione riformista, di governo, democratica, costituzionale e capace di dare una risposta altrettanto credibile alle attese, ai bisogni e alle esigenze dei ceti popolari del nostro paese.