L’Afghanistan scuote l’Europa. Non possiamo oscillare tra indifferenza e indignazione: il mondo cambia volto.

I fatti di Kabul annunciano novità importanti nei rapporti commerciali e quindi prefigurano la rottura delle garanzie di sicurezza per i paesi occidentali, in primo luogo per lEuropa.

 

Raffale Bonanni

 

In questi giorni si è molto parlato della crisi afhgana, di venti anni persi da parte delle ventennali presenze militari in quei territori, del dramma dei profughi, delle incognite riguardo il ritorno al medioevo di quel paese mediorientale, e del ruolo scardinante che potrà svolgere come base del terrorismo internazionale islamico. Molti commentatori si sono impegnati a stigmatizzare il ritiro delle truppe statunitensi e dei suoi alleati responsabile del ritorno al controllo di tutto il paese e della costituzione dell’Emirato.

 

La situazione creatasi sicuramente crea sconcerto e frustrazione per i costi sostenuti in vite umane e risorse da capogiro, ma le premesse per questo epilogo c’erano tutte da tempo. Più presidenti USA avevano dato segnali di disagio nel continuare ad assegnare agli States il ruolo di “gendarme del mondo”, pronunciamenti che avrebbero portato progressivamente ad un disimpegno nelle varie aree problematiche del mondo. Lo fece per primo Barack Obama che ridimensionò ogni piano di intervento militare, poi rumorosamente Donald Trump abbandonando a se stessa la Siria ed annunciando appunto il disimpegno dall’Afghanistan, infine lo sta facendo Joe Biden in Israele, confermando in generale le scelte del suo acerrimo nemico, il tycoon.

 

Il punto è che per svariati motivi: economici, di politica interna, di progressiva penalizzazione per la popolarità dei presidenti impegnati in impegni militari, gli USA si stanno allontanando dalla dottrina di garante della democrazia e delle politiche umanitarie. Pesa la perdita sensibile del volume degli scambi commerciali, che porta il pil degli USA dal 20% di quello mondiale di venti anni fa, a meno del 15% di oggi nonostante l’espansione notevole in questo periodo dei commerci internazionali. Conta anche la l’influenza ancora viva di Trump che poggia su una precisa parola d’ordine: “America First”. Ha inciso molto sulle scelte compiute, come pure e forse più ha inciso la realtà peculiare afghana, che possiamo paragonare all’Italia centrale delle invitte tribù che fronteggiavano la grande Roma repubblicana.

 

Sono ancora presenti le umiliazioni subite dall’impero inglese nell’Ottocento e nei primi del Novecento, come d’altronde è stato per i russi più di trent’anni fa. Ed intanto anche questa volta gli europei seguono pedissequamente a ruota la politica americana senza porsi l’interrogativo di cosa fare di fronte al continuo cambiamento di rapporti di potere nei vari scacchieri geopolitici a causa del disimpegno USA e dell’inserimento di Cina, Russia ed altre potenze regionali. Questi cambiamenti, è banale ricordarlo, annunciano novità importanti nei rapporti commerciali e prefigurano in sostanza la rottura delle garanzie di sicurezza per i paesi occidentali, per l’ Europa in primis.

 

È di queste ore la notizia che l’ambasciatore russo ha  ufficializzato relazioni dirette con i talebani, mentre i cinesi, pur più silenziosi, hanno dimostrato di avere relazioni già ampiamente collaudate con costoro e sono ben saldamente presenti in quell’area. Da questa storia si può dedurre che gli europei ancora una volta si trovano di fronte al solito dilemma: o assistere agli eventi assumendo integralmente le volontà altrui, o essere protagonisti come dovrebbe essere, specie in questa epoca turbolenta, a salvaguardia dei propri commerci, cultura e sicurezza. Dunque significa occuparsi del nostro futuro.