Un alunno modello

L’anno scolastico iniziato – il più insidioso e problematico dal dopoguerra ad oggi- oscilla tra il ‘dover essere’ e il ‘poter fare’.

L’anno scolastico iniziato – il più insidioso e problematico dal dopoguerra ad oggi- oscilla tra il ‘dover essere’ e il ‘poter fare’. Per adottare tutte le misure utili a fronteggiare contagi nelle scuole sono state emanate fior di linee guida, indicazioni, prescrizioni, in modo ponderoso e incalzante, una minuziosa e dettagliata serie di ordini e divieti che i singoli istituti scolastici devono adattare al proprio contesto, modulandoli ai vari gradi e ordini di studio. I dirigenti scolastici, all’atto pratico sono gravati di responsabilità in ordine al regolare svolgersi delle attività didattiche e si può dire che non si sono fatti cogliere impreparati, avendo trascorso l’estate a leggere le carte, misurare, ordinare banchi, prodotti di pulizia, studiare tutte le soluzioni possibili per accogliere gli alunni, regolamentare e adattare gli spazi, prevedere l’utilizzo del personale. Peccato che dopo aver proclamato lo stato di emergenza il 31 gennaio il governo e il ministero abbiano lasciato passare alcuni mesi, addossando tutta la congerie infinita dei problemi a ridosso dell’estate.

Ci sono aspetti non ancora risolti, come l’assegnazione del personale aggiuntivo necessario, la dotazione di banchi omologati, l’orario di apertura e funzionamento: l’autonomia degli istituti scolastici consente di partire dove finiscono le competenze ministeriali e le soluzioni che consigli di istituto e collegi dei docenti stanno vagliando sono diverse e a volte opposte. Le indicazioni degli esperti sono tassative ma la quadratura del cerchio è un ‘irrisolto mistero doloroso’: alcuni istituti consentono l’ingresso dei genitori altri lo vietano in modo tassativo, ci sono limiti invalicabili all’uso del materiale, alla fruizione comune di servizi igienici e delle mense, viene privilegiato il criterio del piccolo gruppo stabile con un docente responsabile. Niente interscambi, spazi separati, invito ad utilizzare quelli esterni sempre col criterio del distanziamento, mascherine no sotto i sei anni, mascherine sì sopra i sei anni ma solo per gli spostamenti dentro e fuori dall’aula. Il Ministero ha caldeggiato un patto educativo tra scuola e famiglia ma la misurazione della temperatura a casa resta una contraddizione in termini se deve validare l’ingresso degli alunni a scuola: perché grava le famiglie di una certificazione che la scuola deve assumere per assodata e veritiera.

La questione del trasporto casa-scuola-casa risolta con un carico a bordo dell’80% degli aventi diritto ha le sembianze di un problema dimenticato: ci saranno alunni che dovranno percorrere tragitti a piedi se non accompagnati dai genitori. Ma soprattutto ad oggi non sono arrivate nelle sedi scolastiche le dotazioni organiche aggiuntive.  Ci sono istituti che hanno previsto un incremento dell’orario settimanale dei docenti in servizio, disapplicando il contratto nazionale di lavoro, fino a ipotizzare una riduzione annua del calendario scolastico: altro errore visto che questo viene fissato dalle Regioni e chiudere prima le scuole significa di fatto interrompere un pubblico servizio.

Insomma si naviga tra Scilla e Cariddi: il diritto alla salute da contemperare con il diritto allo studio.

Finora ha prevalso nettamente la preoccupazione sanitaria e di profilassi che è quella – “scudo” ministeriale a parte – più suscettibile di contenziosi e conflitti. Si aggiunga la questione dei lavoratori fragili, non ancora chiarita, pur se riferita alle sole patologie certificate e a rischio: un conto è lavorare in smart working o in un ufficio, un altro avere a che fare con alunni infanti e adolescenti. 

I plessi scolastici si trasformano in fortilizi e tutto all’interno deve essere organizzato in modo da garantire distanziamenti, sanificazioni frequenti, divieto dei contatti fisici: se si pensa al lavoro che in questi giorni si fa per organizzare le scuole viene spontaneo chiedersi come mai la maggior parte di esse saranno il 20 e 21 settembre utilizzate per le elezioni e il referendum. Migliaia di lettori si recheranno ai seggi e dopo due giorni questi saranno riconsegnati alle scuole: in quali condizioni igieniche? Chi provvederà a renderle di nuovo agibili e fruibili per le lezioni? Non basterà certo una normale pulizia ma una vera e propria sanificazione delle aule e degli spazi. Incredibile che nessuno abbia pensato a questo.

All’inizio di ogni anno scolastico le scuole erano solitamente impegnate nelle attività di programmazione educativa: curricolo, piano didattico- metodologico, finalità formative. In estrema sintesi ogni istituto era chiamato ad una duplice operazione: fare ‘ l’analisi logica’ delle materie da studiare e ‘l’analisi psicologica’ degli alunni che avrebbero dovuto apprenderle. Di questo argomento finora non se ne è parlato: le sedi scolastiche sono state valutate sotto il profilo della sicurezza igienica, come contenitori di un’utenza da accogliere secondo norme profilattiche. Peccato che nessuno abbia finora parlato dei contenuti. La preoccupazione sembra quella di trascorrere indenni un anno di permanenza a scuola: ma cosa impareranno gli alunni, con quali docenti, come saranno integrati i disabili, come si realizzerà il diritto allo studio, quali attività saranno svolte in “progress”, in poche parole se si studierà o se si dovrà privilegiare la rigida postura per scaldare i banchi monoposto, nessuno se lo è ancora chiesto. Non il Ministero, non l’apparato burocratico della pubblica istruzione, non le commissioni degli esperti. Forse la presenza degli alunni è stata valutata più un fattore di rischio che di potenzialità formative. Forse a qualcuno è sfuggita una valutazione psicologica dell’impatto emotivo che un armamentario para-ambulatoriale può suscitare nei minori, siano alunni di scuola dell’infanzia che si staccano impauriti per la prima volta dalla cerchia familiare, siano studenti in crescita e bisognosi di accoglienza, o piuttosto irrequieti e instabili, carenti di sostegni dall’ambiente socio-culturale di provenienza, siano adolescenti per i quali lo smartphone rappresenta il compagno di banco, di classe e di vita. Non si è alzata una voce per centrare l’attenzione su questi aspetti: trovo inadeguato questo atteggiamento di elusione totale di ogni considerazione pedagogica circa l’utenza scolastica.

Sul piano relazionale, empatico e di lettura dei bisogni di cui l’utenza è portatrice (sana).

E su quello non meno importante dei contenuti: passeremo un anno scolastico inutile, sperando solo che nessuno si ammali? La scuola è luogo di relazioni umane (Cesare Scurati,1978), di conoscenze, di crescita, di formazione , di educazione al bello, al buono, di interiorizzazione della cultura. Di stare bene insieme.

Forse chi ha redatto linee guida e indicazioni cogenti si è preoccupato di irreggimentare le scolaresche in modo da correre il minor rischio possibile. Pensando ad un tipo di ‘alunno modello’ che non è mai esistito.

Gino Capponi, pedagogista toscano dell’800 così descriveva questo esemplare di alunno che tutti coloro che non vogliono fastidi vorrebbero avere in classe: “Un vero bipede a schiena ritta, senza che l’alito di Dio vi abbia soffiato dentro ne’ che il diavolo vi abbia pur qualcosa suggerito”.

Non è così, a maggior ragione oggi. Peccato che al Ministero dell’istruzione se lo siano dimenticato.