Archiviata la cosiddetta “Prima repubblica”, si è entrati in un periodo di allegria politica teso a superare le radici della presenza democratica dell’Italia nel continente europeo, riprendendo e rivitalizzando un “ideologia della dominanza” che ha contribuito a rinverdire il “fascistibile”, qualcosa di sopito, ma pericolosamente latente nel corpo sociale italiano.

Alcune settimane fa come Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC) ci pemettemmo di rivolgere un appello al Presidente Mattarella affinchè prendesse in considerazione la possibilità di accettare un secondo mandato presidenziale: la cronaca di questi giorni e direi di queste ore ci ha dato ragione!

La delicatezza del momento politico, l’emergenza della situazione sociale e, non disgiunto da ciò, il prestigio e l’imparzialità del Presidente, ovunque apprezzata e stimata, ci ha dato uno scenario che fino a qualche giorno fa sembrava impossibile. Nel contempo ci consente alcune riflessioni spontanee ma, credo, non peregrine. Il mondo politico italiano patisce da quasi trent’anni l’assenza di partiti politici e con essa l’assenza di una politica con un progetto basato sull’espressione di un vero pensiero politico. Lo scenario di formazioni che in questi tre decenni si sono trasformate o mimetizzate per nascondere la miseria ingannevole e populista degli slogan da esse propinati, ha condotto all’erosione di una ben che minima parvenza di costrutto democratico, con la conseguenza di scene degne del peggiore – non migliore – avanspettacolo di provincia.

Aver affidato a personaggi privi di cultura civica il destino dell’Italia, aver seguito i loro propinamenti demagogici e averli, cosa grave, pure votati nelle diverse elezioni, ha prodotto l’eclisse della politica e la crisi della democrazia. L’appiattimento sulla figura del leader di un partito o di un movimento, a volte capaci solo di poter guidare l’assalto ai forni o la caccia all’untore di manzoniana memoria, ha ridotto il nostro paese alla derisione del mondo democratico per non saper esprimere non tanto una figura politica in grado di rappresentare la più alta magistratura dello Stato, quanto piuttosto la “verità” che la democrazia – non una dottrina politica ma un ideale politico – necessita di un “metodo”, di un confronto tra le posizioni, le aspirazioni, le esigenze, con un piccolo prerequisito non da poco: mostrare, tutti, di avere un pensiero da esprimere! 

Quando si è archiviata la cosiddetta “Prima repubblica”, si è entrati in un periodo di allegria politica teso a superare quelle che sono state le radici della presenza democratica dell’Italia nel continente europeo, riprendendo e rivitalizzando un “ideologia della dominanza” che ha contribuito a rinverdire qualcosa di sopito, ma pericolosamente latente nel corpo sociale italiano: qualcosa che definire “fascistibile”. Voglio riferirirmi all’aver identificato la presenza del leader politico come il protagonista incontrastato dell’azione politica, mentre sono i partiti il vero nucleo di una sana democrazia parlamentare, come sancisce la nostra costituzione, per passare da cittadino-Stato a cittadino-persona. Le condizioni di un partito che sia veramente espressione di una cultura democratica devono legarsi all’espressione di organi interni rappresentativi e distinti, cosi come era nella Prima repubblica, non solo la voce del leader o, peggio, il comando del capopopolo del movimento di turno. 

Voglio ricordare che l’Italia, uscita con le ossa rotte dalla seconda guerra mondiale, con una dinastia fuggiasca e fellona che l’aveva portata in conflitto con il mondo intero, ebbe la forza di dimostrare la propria vitalità e il proprio vigore di giovane democrazia scegliendo, appunto, il “metodo” democratico e indicando essa stessa la strada per superare ogni aporia internazionale. Ciò avvenne il 20 novembre 1948, all’indomani di una competizione difficile che il nostro paese aveva affrontato e che pure spinse Alcide De Gasperi, primo fra tutti i leader europei a scegliere la strada di una futura unità europea, svolgendo a Bruxelles una lectio magistralis su “Le basi morali della democrazia”. In questa lezione lo statista dimostrò come la democrazia debba sempre dotarsi di un metodo fondato non solo sul riconoscimento dei principi nati dalla rivoluzione francese, uniti ai diritti della coscienza di ogni persona, ma che essa può vivere solo nel confronto tra posizioni differenti, capaci di arricchire il dibattito e creare quell’”uomo democratico” che i leader di questa ormai morente Seconda repubblica ignorano, pensando sempre a ipotetici balconi o virtuali allocuzioni. 

Il paese esige una classe dirigente decente, non un “fascistibile” riverniciato di chi cerca solo il potere, espressione non di dominio bensì manifestazione di  prestigio. E in questi giorni mi è parso assente in tutti gli schieramenti del Parlamento italiano!

 

Prof. Giulio AlfanoPresidente dell’Istituto Emmanuel Mounier-Italia e Presidente emerito dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC).

 

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