LE CANDIDATURE E…IL MALCOSTUME.

Non si possono e non si devono addebitare lo squallore, e a volta l’orrore, di alcune scelte politiche, alle norme regolamentari e tecnico/elettorali. Al di là delle pubbliche dichiarazioni, la brutale e spietata designazione centralistica delle candidature è ciò che meglio desiderano i capi partito, tutti i capi partito, come ovvio. Questo, alla fine, è la semplice e scontata motivazione che impedisce di modificare in senso liberale, democratico e partecipativo la legge elettorale.

Parlando di candidature e di selezione della cosiddetta classe dirigente politica, sono indispensabili e necessarie almeno 3 premesse insindacabili. E cioè, nessuna polemica personale di stampo grillino; lunga vita a tutti i candidati/e e, in ultimo, nessun nome e cognome nella riflessione su questo tema. Che era e resta sempre spinoso, difficile e carico di incognite.

Detto questo, non possiamo, però, non fare ad alta voce una semplice riflessone. Ovvero, non si possono e non si devono addebitare lo squallore, e a volta l’orrore, di alcune scelte politiche, alle norme regolamentari e tecnico/elettorali. Detto in altre parole, le singole scelte politiche in materia di candidature non sono “colpa” della legge elettorale in vigore ma, come ovvio, sempre e solo il frutto di ciò che decidono i capi partito. È un concetto che è bene ribadire con forza anche all’indomani delle stesura delle liste per evitare di ricadere in un giustificazionismo ipocrita e forse anche un po’ vile. Si tratta, cioè, di un malcostume che alligna tranquillamente a destra come a sinistra, al centro come tra i populisti.

Certo, tutti conoscono – almeno quelli che seguono le vicende politiche nostrane – chi sono i protagonisti di questo profondo malcostume. Si va dal dirigente di primo piano degli ex comunisti che cambia ogni 5 anni regione per farsi eleggere in un territorio diverso, ovviamente nel listino bloccato e con 6/7 legislature sul groppone alla cosiddetta leader alternativa ai partiti che continua imperterrita il suo ultratrentennale cammino parlamentare. Dal bolognese che ormai ha trasformato il suo curriculum parlamentare in una sorta di record da battere dal secondo dopoguerra in poi ad una simpatica coppia – politica, per carità – che dopo aver trascorso 30 anni di onorata carriera berlusconiana con relative candidature, legislature e potere vario si trasferiscono arma e bagagli al centro e ne occupano di nuovo tutti gli spazi per ricominciare un’altra danza sino al prossimo cambio. Dalle candidature familiari ai cambi improvvisi di casacca per rifare l’ottavo, o il nono e il decimo giro in Parlamento. E decine e decine di altri casi che si potrebbero fare ma che, per ragioni di spazio e soprattutto di interesse specifico, ci risparmiamo.

Insomma, un profondo malcostume che molti addebitano inesorabilmente ai cavilli inseriti nella attuale legge elettorale ma che poi, come ovvio e scontato, non è affatto così per i motivi sopra ricordati.

Ecco perchè, concludendo questa rapidissima rassegna – né moralistica e né, tantomeno, polemica ma solo e soltanto oggettiva – almeno due postille si impongono.

Innanzitutto nessuna responsabilità specifica della legge elettorale ma solo ed esclusivamente dei capi partito che hanno fatto determinate scelte, al di là della ipocrisia e della narrazione utili da raccontare ai “balubba” e alla propria base di riferimento. In secondo luogo, al di là delle pubbliche dichiarazioni, la brutale e spietata designazione centralistica delle candidature è ciò che meglio desiderano i capi partito, tutti i capi partito, come ovvio. Senza eccezione alcuna. Questo, alla fine, è la semplice e scontata motivazione che impedisce di modificare in senso liberale, democratico e partecipativo la legge elettorale. Considerazioni, queste, banali ma utili per evitare di ascoltare ancora le solite narrazioni ipocrite e fuorvianti.