Spero sia lecito dissentire in spirito di amicizia con Stefano Zamagni. La sua ultima uscita appare uno sconfinamento nell’improvvisazione. Ne va del prestigio che tutti gli riconoscono.

Il 30 novembre scorso, all’assemblea dei gruppi d’ispirazione cristiana, fu lui ad asserire che il “partito cattolico” non era un obiettivo. Anzi, fece presente che del partito, cattolico o non cattolico, per ora non bisognava parlare.

In quella circostanza avemmo un rapido scambio di battute. Il tema era quello delle elezioni regionali, con l’occhio rivolto, in particolare, all’Emilia Romagna. Fui sorpreso di vederlo titubante.

Sono convinto, per la stima che ripongo nell’intellettuale di rango, che il suo voto sia andato a Stefano Bonaccini. Ciò non toglie che Politica Insieme, la sua associazione, in campagna elettorale non ha preso posizione.

Se non sono male informato, nemmeno Zamagni ha fatto campagna elettorale, salvo lodare il movimento delle Sardine. Di fatto, però, alle Sardine si deve l’impeto di una rimobilitazione trasversale della pubblica opinione, contro Salvini e quindi a favore di Bonaccini.

Ora, in una intervista resa ieri al “Resto del Carlino”, inopinatamente Zamagni lamenta l’incomprensione di Bonaccini verso il contributo dato dai cattolici in campagna elettorale. Il punctum dolens sarebbe da rintracciare nella mancata nomina in giunta regionale di esponenti vicini alla linea Zamagni.

La recriminazione è di per sé poco leggibile, dal momento che l’approccio politico alla vicenda regionale è stato tutto, per l’appunto, meno che leggibile.

Ma non basta. Zamagni fa derivare da questo sgarbo di Bonaccini la necessità di organizzare in prospettiva un quadro alternativo, immaginando la presentazione nel 2021 di un candidato (cattolico?) a sindaco di Bologna.

Naturalmente la proposta allude a qualcosa di più ampio, e cioè alla discesa in campo di un nuovo soggetto politico, indipendente dagli schieramenti di destra e di sinistra, in grado di porsi autorevolmente al centro della futura competizione elettorale.

L’oscillazione di Zamagni non soddisfa: nella sua condotta  si affastellano gesti che sembrano dipendere dagli stati d’animo. Forse si tratta di una difficoltà strutturale che soverchia l’impegno di una personalità ben visibile, elevata da Papa Francesco a Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Questa responsabilità, gravata di forte carica simbolica, lo porta a confondere i piani a detrimento dell’autonomia e laicità della politica.

Sturzo, quando fondò il partito, si dimise immediatamente da Segretario generale dell‘Unione Popolare (organizzazione di laici, ma sotto il controllo della Santa Sede). Evidentemente Sturzo sapeva quanto fosse necessario distinguere il partito dalla Chiesa. La  politica aconfessionale dei Popolari perdeva, grazie a lui, qualsiasi retaggio integralista e clericale.

Di questa lezione dobbiamo fare nuova esperienza oggi, per evitare che il discorso sul “centro da ricostruire” s’impantani nelle rivendicazioni di micro potere municipale, da un lato, e arditezze pasticciate in tema di partito a ritrovata base cristiana.

Per ultimo, di fronte alla necessità di restituire il giusto decoro all’azione politica, grava sulle spalle di noi tutti il dovere di comprendere che le alleanze sono parte essenziale di una strategia di partito. Vogliamo costruire un centro amorfo, buono a vivere di astuzie, o dobbiamo aggiornare l’insegnamento di De Gasperi sul “centro che muove verso sinistra”?

Alcuni nodi teorici a forte impatto politico non si sciolgono con i Manifesti a struttura  palindroma, con l’indifferenza che sconfina nell’ambiguità a causa di una lettura equivalente, se così possiamo dire, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra.