La discussione intorno alla riforma di quello che giornalisticamente viene definito “fondo salva-stati”, ma che in realtà, usando un’espressione dell’ex presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, fa parte di quegli “strumenti di tortura” di cui dispone l’Europa a egemonia tedesca, per disciplinare gli stati ancora riottosi all’obbedienza cieca all’ordoliberismo, rischia di mettere in secondo piano le questioni fondamentali da cui passa il futuro dell’integrazione europea.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità, infatti, anche se si riuscirà a bloccare quegli aspetti legati alla sua riforma che lo rendono più pericoloso per l’Italia, al di là di una assicurazione superficiale ed illusoria ai mercati, nulla può offrire ai partners europei sul piano della fiducia e del progetto riguardo al nostro comune futuro. Tocca alla politica indicare dei traguardi adesso che siamo all’inizio di una nuova legislatura europea, superando quell’immobilismo che lascia che tutto proceda per inerzia al punto da non prevedere neanche una correzione di rotta rispetto ad uno schianto sociale ed economico prossimo e più che prevedibile a politiche economiche e monetarie immutate, i cui prodromi sono avvertibili in tutti i più grandi Paesi dell’Unione.

Il 3 dicembre scorso sul Domani d’Italia è apparso un articolo di Raffaele Bonanni nel quale sono racchiuse le questioni davvero decisive, assai più del Mes, riguardo al nostro avvenire, nazionale e comunitario, che con grande efficacia l’Autore ha raccolto in tre domande.
“Perchè in politica si litiga continuamente su cose di poca importanza, e sulle cose vitali non si fiata nemmeno?”.

Le cose decisive sono le politiche economiche e monetarie, che si decidono, almeno formalmente, a Bruxelles. Dopo aver constatato la cronica assenza, anche nella finanziaria in discussione, di adeguati “investimenti per infrastrutture materiali ed immateriali”, e per interventi vitali per il Paese, Bonanni si domanda perché i nostri governanti non prendono in considerazione una nuova politica monetaria, non necessariamente inedita perché era quella della Democrazia Cristiana pre-Andreatta, e che ha un solido modello, agli antipodi di quello imposto all’Europa dalla Germania, nella Abenomics del Giappone di Shinzō Abe? Ed infine pone la domanda che è la vera questione politica di questa fase storica: a fronte del conclamato fallimento dell’ordoliberismo, “chiunque abbia del buon senso (…) cambierebbe rotta, ci sarà qualcuno che si porrà l’obiettivo di farlo?”.

Senza dimenticare le annose questioni irrisolte che ci trasciniamo dietro (la giustizia e la pubblica amministrazione da riformare, e via dicendo) la questione politica fondamentale è quella posta dalle domande di Bonanni. Continuare a fingere di non vedere che le politiche tedesche di austerità si sono rivelate un disastro su tutti i fronti, e stanno distruggendo il tessuto economico e sociale dei Paesi dell’Eurozona, li condannano ad una strutturale inadeguatezza di investimenti che si sta trasformando in arretratezza dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Cina, li obbligano ad accettare livelli abnormi di disoccupazione, di povertà e di disuguaglianza, ebbene non considerare tutto ciò, significa molto semplicemente rinunciare all’idea che un domani che speriamo assai prossimo, l’Europa possa diventare unita. La battaglia da fare adesso, in questa fase storica, perché forse tra qualche tempo potrebbe risultare troppo tardi, è quella di una iniziativa forte e bipartisan dell’Italia come grande Paese fondatore verso un chiarimento sulle prospettive dell’Europa.

Si sta insieme per sbranarsi l’un l’altro, con la legge del più forte oppure si vuole unire i nostri destini in uno stato unitario? Non si tratta di una alternativa. Perché l’opzione più infausta, quella della disgregazione appare già in avanzato stato di compimento. Solo se con urgenza si riesce a portare al tavolo europeo la necessità di un radicale cambio di rotta, di una inversione ad U nelle politiche economiche e monetarie che chiuda il ciclo nefasto delle politiche austeritarie e apra in termini concreti e veloci ad una nuova fase di politiche espansive, demitizzando la questione del debito, che non sarà mai un problema se alle spalle dello spazio politico dell’Eurozona c’è una banca centrale nella pienezza dei suoi poteri, si può tentare di porre un argine al processo di disgregazione in atto dell’Europa. Che non è opera dei sovranisti, che sono un’armata Brancaleone, bensì è opera delle politiche economiche gravemente inadeguate praticate nel decennio che sta per concludersi, che proprio in quanto declamano la stabilità monetaria, stanno causando in tutt’Europa una instabilità sociale, economica e politica senza precedenti e potenzialmente orientata verso un epilogo tragico e cruento. Se non si cambia, presto, la rotta.