Articolo pubblicato sulle pagine della rivista “Atlante” di Treccani a firma di Barbara Onnis

Le elezioni americane sono, da sempre, uno degli eventi internazionali maggiormente oggetto di osservazione e di dibattito a Zhongnanhai (sede del Partito comunista e del governo della Repubblica Popolare Cinese, RPC). Per quanto le relazioni sino-americane non siano mai assurte al rango di “partnership strategica”, costituiscono innegabilmente una delle priorità (forse la priorità) della politica estera cinese, al di là dell’andamento altalenante che le caratterizza, fin dall’avvio di relazioni diplomatiche ufficiali, nel gennaio 1979. Gli Stati Uniti rappresentano, infatti, una variabile determinante per molti capitoli dell’agenda politica, sia interna sia esterna, di Pechino (diritti umani, TaiwanMar Cinese Meridionale, tanto per citarne alcuni). Ben si comprende, pertanto, l’attenzione riposta dalla leadership di Pechino ai due candidati che si confrontano per le imminenti elezioni americane, in un periodo in cui le relazioni tra le due parti hanno raggiunto i “minimi storici”, complice la pandemia da Covid-19, che si è inserita in un contesto già stressato da una guerra commerciale che va avanti dal 2018, e che ha portato alcuni osservatori a parlare di un clima da “guerra fredda”. «Il confronto sta diventando conflitto e può finire in un esito disastroso per l’umanità», ammoniva Henry Kissinger – segretario di Stato americano fra il 1973 e il 1976, durante le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford, fautore dell’avvicinamento sino-americano e grande conoscitore e amico della Cina popolare – lo scorso mese di novembre, in un discorso tenuto a Pechino, e rivolto ad entrambe le amministrazioni.

Dietro un clima di calma apparente, c’è un acceso dibattito in corso all’interno dell’establishment della politica estera cinese su quale tra i due candidati possa rappresentare il classico “male minore” per la RPC. Sia Donald Trump che John Biden hanno, infatti, definito la Cina una minaccia centrale per gli interessi degli Stati Uniti, al di là delle connessioni personali di entrambi con il leader cinese Xi Jinping, delle quali si sono spesso vantati in passato, per poi prenderne le distanze via via che la pandemia rivelava tutta la sua gravità, ed emergevano le responsabilità di Pechino relativamente alle omissioni iniziali sul virus, prospettando tempi duri per il governo comunista cinese. Ciò detto, laddove la retorica trumpiana è ben nota a Pechino, quella di Biden è oggetto di maggiore riflessione. Per quanto la campagna di quest’ultimo sia percepita, anche in Cina, come un’offerta agli elettori americani di un “ritorno alla normalità”, questo stesso ritorno non si prospetta tale nell’ambito delle relazioni con la RPC; in altre parole, è probabile che Pechino si aspetti cambiamenti nello stile, ma non nella sostanza della politica statunitense nei prossimi quattro anni.

Non a caso, a dispetto di quanto va affermando il presidente Trump, secondo il quale Pechino starebbe facendo il tifo per Biden per continuare ad affossare l’economia statunitense attraverso pratiche commerciali scorrette, le posizioni in Cina sono assai meno nette. Al contrario, alcuni studiosi riportano come molti cinesi comuni auspichino una vittoria di Trump, in quanto funzionale alla continua ascesa del loro Paese. Come è noto, la Cina punta, nel lungo periodo, a sostituirsi agli Stati Uniti nel ruolo di superpotenza egemone a livello globale e ambisce a rifondare l’ordine mondiale – lo stesso nei confronti del quale Trump è andato mostrando una crescente insofferenza – secondo caratteristiche proprie (le cosiddette “caratteristiche cinesi”, zhongguo tese). Le scelte dell’amministrazione Trump hanno, infatti, contribuito a minare il sistema di alleanze di Washington, in Occidente come in Oriente, dando agli alleati l’impressione che gli Stati Uniti non siano più una potenza responsabile e affidabile, rafforzando al contempo lo spirito di coesione dei cinesi e dando alla Cina la possibilità di guadagnare terreno, come rivelato dai discorsi pronunciati da Xi Jinping in diversi consessi, a partire dal World Economic Forum di Davos, nel gennaio del 2017, che hanno ricevuto il plauso della comunità internazionale. Una conferma della preferenza di Pechino per Trump risiederebbe, secondo alcuni osservatori, nel rispetto della tregua commerciale siglata il 15 gennaio 2020 – l’accordo sulla cosiddetta “Fase uno”.

Il fatto che la Cina stia cercando di sostenere l’accordo con gli Stati Uniti, con l’acquisto di soia e cereali, sarebbe una chiara dimostrazione dell’interesse a sostenere Trump; l’impegno cinese è assai significativo per il presidente degli Stati Uniti, in termini di risultati da esibire nei confronti degli agricoltori americani, duramente colpiti dalla guerra commerciale, che rappresentano un segmento elettorale fondamentale. Paradossalmente, secondo un articolo di Cnn Business dell’agosto scorso, pur essendo il commercio la causa principale degli attriti tra i due Paesi negli ultimi anni, di fatto è l’unica cosa che funziona nel rapporto bilaterale. Viceversa, una nuova amministrazione democratica potrebbe lavorare nel tentativo di ripristinare una politica estera “tradizionale” in grado di riportare gli Stati Uniti al loro ruolo di guida della comunità internazionale e di difensore del sistema internazionale, il che rende Joe Biden un candidato meno desiderabile per Pechino.