LE ELEZIONI DEL 25 SETTEMBRE NON POSSONO PREFIGURARSI COME UNO SGORBIO DELL’ETERNO 8 SETTEMBRE ITALIANO.

Brevi considerazioni sul filo del realismo e del paradosso. Bisogna salvarsi dal pessimismo di Galli della Loggia, furioso con i centristi. Un vago concetto filosofico, aggrappato all’ironia benevola, ci restituisce invece un’idea di centro.

 

Ubaldo Alessi

 

Siamo entrati nell’eone della propaganda e non possiamo atteggiarci a sublimi commentatori senza passione. A destra e a manca la verità si costruisce con l’ansia di dragare il fiume dei consensi elettorali, scoprendo tuttavia che la meteorologia politica disvela un’analogo fenomeno di siccità nell’arido panorama di astensionismi rancorosi, difficili da riportare alle “chiare, fresche et dolci acque” della partecipazione e dell’impegno. Nessuna passione partigiana riesce a nascondere l’angustia e il disdoro di una politica disarcionata dal nobile destriero dell’io desiderante, ovvero del nostro attenderci con il cuore e con la mente un discorso razionale sul perché della lotta democratica, sulle motivazioni ad essa collegate, sui ragionamenti che l’accompagnano in generale o dovrebbero accompagnarla nelle vicissitudini correnti.

 

Non possiamo esimerci da uno sforzo di obiettività. Che le cose non siano chiare, esposte come si vede alla frammentarietà dei linguaggi, alla confusione dei programmi, non è contestabile. La divisione passa per un giudizio che si protende, anche al di là delle intenzioni più aggraziate, nel comodo e inevitabile pregiudizio. Chi non vuole la Meloni, volge lo sguardo a sinistra; chi assume la sinistra come un destino infausto, per quanto Letta non sia un estremista, accetta qualsiasi torsione dello schieramento di destra, anche la possibile leadership della Giovanna d’Arco uscita dai circoli giovanili di matrice fascista. Questo accenno di radicalizzazione ha fatto già tabula rasa dei sinceri o strumentali peana per Draghi. Basta osservare come sia prossimo allo spegnimento il discorso sull’Agenda che porta il nome del Presidente del Consiglio dimissionato. Solo Calenda e Bonino tengono botta. In realtà le trattative in corso, da un lato e dall’altro, vertono su problemi urgenti e spinosi che attengono, per fare l’esempio canonico, sull’allestimento delle coalizioni e il vaglio delle candidature, più ancora sulla regola da adottare per la scelta del candidato alla guida del futuro governo.

 

I programmi dovrebbero fissare uno spartiacque. Eppure non è così, non sempre si ottiene, infatti, la limpida alternativa che giustifichi la rivendicazione di un’appartenza orgogliosa. Siamo sicuri che il presidenzialismo – tanto per citare la riforma costituzionale che Fratelli d’Italia assume  a fondamento della sua battaglia elettorale – non serpeggi in maniera trasversale a dispetto del suo carattere storicamente divisivo? Si obietta che ormai non rappresenta un tabù, bensì l’innovazione che serve a garantire la stabilità di governo, da valutare pertanto con pragmatismo, senza paraocchi ideologici. E così declina la capacità di ricondurre la questione, di per sé delicata, nel giusto ambito ideale e quindi nel perimetro di un’autentica cultura politica.

 

Ieri Galli della Loggia ha messo il dito nella piaga: si gioca con le illusioni. L’editoriale pubblicato sul “Corriere della Sera” parte dalla critica, finanche spazientita, alle varie mosse che dovrebbero portare all’organizzazione di un nuovo centro. Ebbene, dopo approfondita disamina, la fredda conclusione stabilisce che questo centro tanto agognato è vuoto, esiste solo nelle ambizioni e nelle velleità di alcuni condottieri senza esercito, fiduciosi che al pari dell’intendenza l’esercito in qualche modo seguirà. A scorrere il testo ci si avvede, però, che il vuoto non appartiene solo al centro, ma si estende all’intera dimensione della politica italiana. Nulla si salva: vanitas vanitatis et omnia vanitas.

 

Ora, tra la partigianeria e l’asetticità sconsolata, l’una del militante cieco e l’altra dell’intellettuale illuminato, ci deve essere una qualche via di mezzo. Almeno, questa è la speranza. Altrimenti si finisce di ridurre il 25 settembre – evento democratico per eccellenza – a sgorbio involontario dell’eterno 8 settembre della dissoluzione patria. A Galli della Loggia bisogna pur resistere, altrimenti ci si abitua a pensare che il regno del pessimismo sia il destino dell’umanità; ci si abitua cioè a una politica che oscilla tra la faziosità e il disincanto, prigioniera dell’irrimediabile gioco degli estremi; insomma, ci si abitua al peggio. E dunque, se questo può rinfrancare l’animo dei centristi, un vago concetto filosofico riporta alla luce l’esigenza di un punto intermedio, ovvero di una necessaria istanza mediatrice che salvi la vita, e in particolare la vita politica, dal superiore vuoto della casualità ingestibile. Nella filigrana dell’ironia, spesso preziosa, abbiamo ancora modo di proclamare che il centro esiste. O potrebbe esistere.