Non ha senso mirare alla rivalutazione delle Province dando però segnali, nel medesimo tempo, di scarsa coerenza nella gestione delle alleanze.

Nei tre giorni di dibattito a Parma, alla XXXVIII Assemblea annuale dell’Anci, è trapelata la volontà di restituire alle Province quella funzionalità che la riforma Delrio ha inopinatamente mortificato. Anche la ministra dell’Interno, l’ex perfetta Lamorgese, si è dichiarata favorevole a procedere in questa direzione: più personale e più risorse per garantire, in sostanza, che l’attività amministrativa di area vasta possa configurarsi come strumento efficace in vista delle complesse operazioni del Pnrr. Di certo le Città metropolitane, partecipando della natura delle Province e integrando alcune competenze più incisive, potranno fare da apripista di una organica politica di rilancio dell’ente intermedio.

In questo orizzonte le imminenti elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali – la scadenza prevista è quella del 18 dicembre – rivestono un significato importante. Possono confermare o correggere, qua e là, la tendenza in atto al rafforzamento del centrosinistra negli enti territoriali. Tutto si gioca nei conciliaboli dei partiti, con il vaglio delle varie combinazioni per “stare sul pezzo”, ovvero per dare vita ad accordi che servano a piazzare quanti più eletti possibili attraverso le dinamiche di votazioni ristrette ai soli consiglieri comunali. Di fatto è in corso il tentativo di ossigenare il bipolarismo, dilatandolo artificialmente a discapito di un centro in espansione, magari con il dileggio di Renzi o Calenda come cavalieri solitari (e fastidiosi) dell’anti-bipolarismo.

Voci a riguardo rivelano che al Nazareno guadagni consenso la ricerca di intese sottobanco con Forza Italia o comunque con spezzoni del centrodestra. Poi sussistono tentazioni avventurose, sempre all’insegna della conquista purchessia di seggi, con svarioni come nel caso della paventata grande ammucchiata di Viterbo. Un’ammucchiata, per giunta, che pare incuriosire e interessare anche gli sherpa che siedono nei Palazzi del potere locale, quasi a suggellare la validità di certi scampoli di trasformismo.

La debolezza della politica è la forza di un certo professionismo della trasversalità, senza remore o vincoli particolari. Non può destare allora meraviglia ciò che riaffiora dalla vita reale, vale a dire un gioco a schema libero, di cui si conoscono appena i confini, che ripropone fatalmente un interrogativo a riguardo di elezioni troppo lontane da un sano controllo della pubblica opinione. Un po’ dipende dal sistema elettorale, incentrato come si diceva sul voto di secondo grado, un po’ dal convulso manovrismo dei gruppi dirigenti locali. Conviene esserne consapevoli, per non riscontrare nell’immediato futuro un contraccolpo negativo rispetto alla giusta linea di rivitalizzazione delle Province.