Le bombe su San Lorenzo, a Roma, la solitudine di Pio XII, gli insulti a Vittorio Emanuele III, l’Odg Grandi e l’arresto di Mussolini. Tutto, o quasi, si decise nel giro di poche ore, tra il 19 e il 27 luglio 1943. 

Per l’Italia erano in ballo il destino e il futuro, ma in realtà era tutto il mondo a restare col fiato sospeso: lunedì 19 luglio Roma fu bombardata per la prima volta dagli Alleati (sotto le macerie di San Lorenzo e nell’area di Porta Maggiore – Piazzale del Verano rimasero 3.000 vittime). La notte del 24, tra le mura di Palazzo Venezia, il Gran Consiglio del Fascismo – a seguito dell’ordine del giorno Grandi – destituì Benito Mussolini, il quale fu successivamente prelevato da Villa Ada (allora residenza del re) e arrestato seduta stante. Nel mezzo, la drammatica visita di Pio XII (per altro l’unica autorità presente nel paese ancora con una sorta di indipendenza decisionale) nelle zone colpite dai raid e gli insulti della folla (con tanto di sputi e sassate) al sovrano, anch’egli recatosi nei quartieri bombardati. Era l’epilogo di una situazione ormai fuori controllo da diverse settimane, allorché gli alti comandi si erano resi conto della follia di un conflitto già perduto in partenza per motivi di inefficienza militare. E l’attacco su Roma, che scosse le coscienze di milioni di persone, fece degenerare inesorabilmente la situazione. 

L’esautoramento del regime per vie formali era un disegno pianificato da tempo. Capo-corrente di questa pianificazione era lo stesso Vittorio Emanuele, ormai consapevole (con gravissimo ritardo) della tragedia che si stava abbattendo sulla nazione e sui cittadini civili in particolar modo. Dobbiamo ricordare in tal senso – per l’ennesima volta –  che a determinare la caduta del regime non fu la protesta popolare, ma una congiura programmata presso le alte stanze della corona la quale fu appoggiata da tutte le componenti moderate facenti capo all’ex governo fascista: industriali, filo-monarchici e conservatori. In seguito, come sappiamo, anche l’estremo disegno di garantire la sopravvivenza della monarchia si rivelò tanto inutile quanto inefficace, fermo restando le pesanti responsabilità di casa Savoia circa le tragiche condizioni in cui versava il paese. L’annuncio della caduta di Mussolini fu accolto con grandi manifestazioni di esultanza, ma senza spargimenti di sangue. Il movimento fascista, infatti, che per un ventennio aveva occupato la scena politica italiana, implose mestamente insieme alle sue organizzazioni collaterali e ai suoi organi contigui ancor prima che si insediasse il governo provvisorio. Quest’ultimo, costituitosi hic et nunc il 27 luglio intorno alla figura del maresciallo Pietro Badoglio, era composto esclusivamente da personaggi legati all’ambiente militare e scevri da qualsiasi schieramento politico. 

Di fatto, la gioia che suscitò la riconquistata libertà nella popolazione fu minore rispetto alle grandi aspettative riposte in una veloce fine del conflitto, che sarebbe stata – quella si – la definitiva fine di una tragedia senza precedenti nella storia dell’Italia. L’uscita dalle ostilità, tuttavia, si sarebbe rivelata tragica quanto o forse ancor più della guerra stessa.