Le questioni della bioetica. Il coraggio e la forza di avviare un confronto

Il dono implica, di per sé, un’intenzione benevola da cui trae origine, evoca sentimenti di stupore, ammirazione, riconoscenza, di gioia e consapevolezza della sua gratuità.

Articolo già apparso sulle pagine di Convergenzacristiana.it a firma di  Domenico Galbiati

Le questioni etiche sono cruciali per un movimento politico di cattolici. Non solo per essi, però, perché l’essenza della vita non può che riguardare anche quanti ad essa guardano senza alcuna valenza religiosa o spirituale.

Esse completano, infatti, quella visione, in gran parte condivisibile e condivisa, della centralità dell’essere umano il quale non può essere ristretto nella sola dimensione economica.

Giustamente, il cardinal Bassetti ha parlato della necessità che questioni morali e questioni sociali trovino una compenetrazione ed una sintesi e, quindi, offrano un’occasione per porre sempre al centro di ogni visione privata e pubblica la Persona, nella sua completezza ed integralità.

Gli argomenti a forte valenza bioetica, così, rappresentano un impegno per molti aspetti sostanzialmente nuovi ed una sfida inedita per la politica che è, da sempre, addestrata ad affrontare tematiche d’interesse collettivo, piuttosto che questioni che sconfinano nella dimensione più intima e nella coscienza personale di ciascuno.

Eppure, si tratta di un versante oggi ineludibile che richiede, per essere avvicinato evitando pericolosi cortocircuiti concettuali, una appropriata cultura politica.

Dobbiamo chiarire, anzitutto, come si collocano tali argomenti nel complessivo quadro di funzionamento del nostro ordinamento democratico.

Si tratta di temi che possono essere fatti, ad esempio, oggetto di una trattativa politica finalizzata a comporre una maggioranza di governo? Oppure, salvaguardati e sottratti alla dinamica di “ patteggiamenti” contingenti, legati al criterio della governabilità sotto un profilo di ordine generale e, così , riservati ad un libero dibattito parlamentare nel cui ambito ciascuna forza possa esprimere il proprio indirizzo culturale di fondo, senza riserve e senza la remora di compromettere l’equilibrio politico-istituzionale del momento?

Il Parlamento francese, ad esempio, sta per intraprendere un complesso percorso diretto ad una generale revisione dell’attuale legislazione transalpina in materia bioetica la quale, peraltro, non data da “illo tempore”, ma solo dal 7 luglio 2011.

Si tratta di un processo che sarà bene seguire attentamente anche da casa nostra. Per quanto sia dubbio che un tale impianto legislativo univoco ed organico – con ogni probabilità diretto a soddisfare l’ossessione dei nostri cugini d’oltralpe per la “laicite'”, la netta ed irrevocabile separazione tra sfera pubblica ed ambito ecclesiale – possa essere considerato adatto al nostro Paese oltre che, in ogni modo, prescindere dai contenuti preannunciati, a proposito dei quali ha già’ assunto una ferma posizione l’Episcopato francese.

È, ad ogni modo, interessante il vasto processo di consultazione messo in atto e condotto in porto lo scorso 2 luglio, largamente articolato per aree territoriali così da attivare, sull’intero territorio nazionale francese, le più varie espressioni culturali e sociali, mettendo alla prova le diverse visioni antropologiche a ciascuna di esse sottese, coinvolgendo i diversi portatori di interessi, le competenze scientifiche, tecniche e professionali, il mondo associativo che spontaneamente si aggrega, nella società civile, attorno a tematiche così delicate e controverse e, soprattutto, dirimenti per il nostro futuro.

In sostanza, un processo largo e dettagliato anche per specifici argomenti basato sulla valorizzazione importante di quei “corpi intermedi” che, costituendo l’unica, vera alternativa al “principe” di turno – truculento o sia pure illuminato che possa essere – definiscono ed arricchiscono la struttura portante di ogni ordinamento democratico e civile.

Se i  temi “eticamente sensibili” devono di necessità essere ricompresi nel programma di una qualunque maggioranza di governo – in modo particolare in quei paesi, come il nostro, che presentano delle disparità di visione, sulla base dell’esistenza di quelle culture cui si collegano forze politiche destinate a raggiunge una più forte sintonia per ciò che concerne la cosiddetta governabilità – e manca un processo di elaborazione che coinvolga , invece di escludere, rischiano di subire una torsione impropria e restano pur sempre, qualunque sia la mediazione o più banalmente il compromesso raggiungibile, una spina irritativa, esponendo così costantemente la maggioranza ad uno strisciante e potenziale vulnus.

Non a caso, infatti – com’e’ successo da noi, nella fase conclusiva della discussione relativa alle DAT – nel momento in cui si giunge alla stretta finale, la maggioranza e’ costretta, per ragioni generali di tenuta, a far quadrato e, ancora una volta,  la natura propria della questione in oggetto viene, quel poco o quel tanto, sacrificata e distorta per presunte inappellabili ragioni superiori.

E’ chiaro che i politici ispirati cristianamente affrontano le questioni della bioetica ponendosi, e ponendo anche a chi cattolico o cristiano non è, un’immediata domanda: la vita e’ un dono o, piuttosto, deve essere concepita come un “possesso” autoreferenziale ed esclusivo?

In quanto credenti, com’è possibile giocarci questa partita epocale? C’è una linea di demarcazione netta ed inequivocabile tra una “bioetica cattolica” ed una “bioetica laica”?

Dobbiamo anche chiederci, per quanto sia così calata la pratica religiosa, se siamo davvero minoranza nel Paese. Ripensiamo, invece, a quella sintonia di fondo con una sensibilità popolare così diffusa e radicata che ci porta a ritenere ancora valida l’affermazione di Benedetto Croce; “non possiamo non dirci cristiani”.
Se però è così, una responsabilità incombe sui credenti, pur in un contesto civile secolarizzato, a forte connotazione laica e talvolta espressamente “laicista” e pregiudizialmente ostile nei loro confronti.

Non possiamo certo accontentarci di far salva la nostra coscienza, arroccandoci in una torre d’avorio per una difesa testimoniale, incontaminata, limpida ed adamantina – magari addirittura stentorea – dei nostri principi.
Dobbiamo, piuttosto – pur muovendo magari da un campo trincerato in cui custodire e difendere principi e valori per noi non rinunciabili – tentare qualche sortita, cogliere le possibili smagliature, forzare ed ampliare eventuali fessure nel campo avverso. In sostanza, aprire varchi, accettare, anzi, persino promuovere un confronto aperto.

Piuttosto che attestarci su una linea difensiva in un modo pregiudiziale la quale, già di per sé, potrebbe trasmettere l’impressione di una debolezza consapevole, possiamo renderci attenti a ricercare una mediazione sufficientemente alta cosicché vi possano convergere il valore che non cessiamo di promuovere.

Se si va oltre le cristallizzazioni ideologiche in cui si ossificano molte posizioni che si pavoneggiano con il “politicamente corretto”; se si cerca di rintracciare i presupposti originari che inclinano il giudizio in una certa direzione, si scopre che, in ultima analisi, in campo bioetico, una prima, basilare differenza sostanziale, persino radicale c’è davvero e corre tra chi, come distinguevo poco sopra, avverte la vita come dono e chi la assume come qualcosa che si possiede in proprio, secondo i modi di una titolarità esclusiva.

Che la vita sia un dono i credenti lo sanno e lo sperimentano. Ma questa dimensione del dono, i sentimenti di gratitudine e di meraviglia che la accompagnano appartengono solo a loro o, piuttosto,   anche a chi, in qualche modo, si sente pur sempre “figlio”, sia pure in tutt’altra prospettiva antropologica, perché avverte di non essere “prodotto” di una casualità insensata, bensì espressione di quella straordinaria armonia dell’universo che a suo modo testimonia  una fecondità gravida di senso?

Il dono implica, di per sé, un’intenzione benevola da cui trae origine, evoca sentimenti di stupore, ammirazione, riconoscenza, di gioia e consapevolezza della sua gratuità. Significa, costitutivamente, “relazione”, apertura e, come tale, allude immediatamente alla “persona”, concorre a definirne il fondamento ontologico. Non è revocabile ed, anzi, chiede a sua volta di essere ancora fatto dono, purché non mutilato, secondo la pienezza intera del suo valore.

È su queste lunghezze d’onda che ci giochiamo una partita laica, eppure al tempo stesso, del tutto consapevole della portata dei valori in gioco e della loro “ densità”  irrinunciabile.