Le religioni e il coraggio dell’alterità: la Dichiarazione congiunta di Abu Dhabi

Nell'editoriale di Aggiornamenti Sociali una rilettura dello storico documento firmato esattamente un mese fa dal Grande Imam di Al-Azhar e da Papa Francesco.

Esattamente un mese fa, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi papa Francesco e Ahamad al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar (Egitto) firmavano congiuntamente il Documento sulla fratellanza umana. Un fatto – scrive Giacomo Costa nell’editoriale del numero di marzo di Aggiornamenti Sociali – di cui «è impossibile non riconoscere la valenza profondamente innovativa: si tratta di qualcosa che va al di là delle aspettative, che suscita domande e interrogativi, che mette in discussione stereotipi e pregiudizi tanto diffusi quanto radicati dal punto di vista religioso e ancor di più culturale».

L’importanza storica dell’evento risiede anzitutto nel percorso che ha portato il Pontefice e l’Imam alla sottoscrizione del documento e al modo in cui questa è avvenuta: «Non è infatti soltanto la testimonianza di un incontro, anche se questa cornice relazionale ha una importanza che non può essere sottovalutata; non è nemmeno una parola scambiata, cioè rivolta dall’uno all’altro, anche se entrambi al momento della firma hanno pronunciato parole di grande intensità. Si tratta invece di un testo condiviso, cioè di una medesima parola che i due leader sentono di rivolgere insieme ai loro fedeli e al mondo intero per dare risposta ad alcuni interrogativi di fondo». In altre parole, scrive Costa, «firmando questa dichiarazione congiunta, i due leader offrono ai loro fedeli una narrazione condivisa. Questa consente di sentirsi parte della stessa storia, di percepirsi confrontati dalle stesse domande, dalle stesse inquietudini e preoccupazioni. (…) Offrire una narrazione condivisa ai credenti di religioni che si sono a lungo combattute, che per secoli hanno affermato la propria identità attraverso la reciproca opposizione, o addirittura il dominio dell’una sull’altra, invita i fedeli di entrambe a entrare in un diverso orizzonte mentale».

L’editoriale entra poi in un’analisi dei contenuti del documento. Colpisce, in particolare, «l’atteggiamento nei confronti del pluralismo religioso, che non è subìto come dato di fatto ineliminabile o come resa a un processo di secolarizzazione, ma valorizzato come dono di Dio e come base per fondare la libertà religiosa. (…) Ne consegue la necessità di superare la logica della contrapposizione amico-nemico nei rapporti tra le religioni».

Un passo, questo, che è invocato anche a livello culturale e politico, in particolare in riferimento alla costruzione di un diverso rapporto tra Oriente e Occidente. «Questo vale con una forza e una concretezza ancora maggiori – scrive ancora il direttore di Aggiornamenti Sociali – in tutti quei contesti in cui i fedeli delle diverse religioni si trovano a vivere gomito a gomito. Non basta la garanzia formale della libertà di culto, per quanto fondamentale, se questa non si traduce in possibilità reali di partecipazione a tutte le dinamiche sociali su un piano di effettiva parità e con la possibilità di recare il proprio contributo e di esercitare la propria responsabilità di cittadini».

Dopo avere evidenziato l’importanza cruciale che ora assume «l’articolazione tra la prospettiva globale espressa dall’Imam e dal Papa e le pratiche degli attori locali» per dare credibilità e attuazione al Documento, l’editoriale conclude con una sottolineatura sul linguaggio utilizzato: «Alla prima lettura il Documento suona inevitabilmente poco familiare: capiamo che ci possiamo riconoscere nella sua formulazione, anche se non è probabilmente quella che più naturalmente ci sarebbe venuta in mente. È questo il portato del fatto che si tratta di una narrazione condivisa. (…) Il Documento ci mostra che non esistono solo il linguaggio tendenzialmente minimalista del politically correct, che annacqua le identità per piallare le differenze, o quello identitario più o meno militante, che invece le esalta fino alla chiusura e all’incomunicabilità. Nessuno dei due è in grado di fornire la base per un autentico dialogo; serve invece un linguaggio che stimoli ogni tradizione ad andare in profondità di se stessa, senza rinunce o potature, e che al tempo stesso le aiuti a procedere in una direzione condivisa. Grazie al Documento, Francesco e Ahamad al-Tayyib aprono una pista e ci invitano a compiere lo sforzo di camminare in questa direzione».

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