Sulla rivista Civiltà Cattolica viene proposto un articolo che prova a disegnare i tratti comuni delle proteste in corso in Paesi come l’Algeria, il Libano, l’Iraq, l’Egitto, Haiti, il Cile, l’Ecuador, la Bolivia e la Colombia, per non parlare della Francia dei gilet gialli e di Hong Kong. Le condizioni politiche e sociali spesso sono diverse, ma in tutti questi Paesi si chiedono le stesse cose: riforme economiche giuste, meno tasse, più occupazione, e spesso un sostanziale «cambiamento di sistema». La rabbia è di solito indirizzata contro la «casta» al potere (non contro un particolare parti­to, una etnia o una confessione religiosa), contro chi in questi anni di crisi economica ha accumulato ricchezze sorprendenti, sottraendole alla maggioranza della popolazione.

Poi, l’articolo cerca di individuare la questione di fondo. Secondo il politologo francese Bertrand Badie, le ribellioni in corso sono «un secondo atto della globalizzazione», dove però il si­stema neoliberale, in vigore a partire dagli anni Novanta, è rimesso in discussione. In particolare, a causa della crisi economica che tra il 2007 e il 2008 ha colpito il mondo intero. Caso emblematico è quello del Cile, il Paese sudamericano ri­tenuto più stabile e pacificato, dopo il feroce colpo di Stato del ge­nerale Pinochet. Connotati particolari hanno invece le rivolte in Bolivia: il paradosso della crisi boliviana è che il Paese è cresciuto molto negli ultimi anni e il tasso di povertà è sceso drasticamente.

Infine, si tenta di inquadrare un possibile percorso politico costruttivo. «La strada è in salita – scrive Badie – e l’obiettivo è ambizioso: reinventare la democrazia. Ma è quello che chiedono queste rivolte».