LEOPOLDO ELIA: UN COSTITUZIONALISTA E LA QUESTIONE DELLA «FORMA PARTITO»

Nella polemica di questi giorni sul presidenzialismo, innescata com’è noto dalle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, è ricorso il termine «eversivo» – v. la nostra intervista a Gerardo Bianco https://ildomaniditalia.eu/gerardo-bianco-il-presidenzialismo-e-un-inganno-e-la-proposta-di-berlusconi-un-atto-eversivo/ – che già Leopoldo Elia aveva utilizzato nel 2002 per contestare la riforma proposta dal governo presieduto all’epoca dallo stesso Berlusconi.Riteniamo utile proporre ai lettori un testo di Pombeni – si tratta della relazione svolta in occasione della presentazione del volume di Leopoldo Elia “Costituzione, partiti, istituzioni” (Roma, 3 febbraio 2010) – che offre elementi di conoscenza e riflessione sul pensiero dell’autorevole costituzionalista, impegnato politicamente prima nella Dc e poi nel Partito popolare. Di seguito riportiamo succintamente la prima parte del testo rinviando, tramite link in fondo, alla versione integrale (completa anche di note).

Non è facile parlare di un personaggio complesso come Leopoldo Elia: uno studioso rilevante e al tempo stesso un uomo totus politicus. In astratto si sarebbe portati a chiedersi se la compresenza in lui di queste due caratteristiche non conducesse ad una sorta di avvallo di un giudizio di Elie Halévy espresso nel 1898: «ciò che mi rende assai scettico sulla profondità e l’importanza delle questioni costituzionali [è che] mi chiedo se, in fin dei conti, non sia proprio là che trionfa il puro empirismo e che i pensatori sono o gli obbedienti servitori delle circostanze o degli utopisti inutili».

È troppo facile rispondere che Elia fu un servitore delle circostanze senza essere un servitore obbediente e per certi versi fu un utopista senza essere un utopista inutile. Cercherò di farlo vedere ripercorrendo qualche tratto del suo pensiero in materia di partiti politici, un tema che egli trasse sicuramente da uno dei suoi maestri, Costantino Mortati, che come è noto egli incontrò a partire dal cenacolo dossettiano, di cui il famoso costituzionalista fece parte ed a cui il giovane Elia si accostò prestissimo, divenendo, neolauretato ventitreenne, un collaboratore costante di «Cronache Sociali», il quindicinale del gruppo del leader reggiano.

Elia esordisce, e non è un caso, nel numero del 15 febbraio 1948 con una saggio su I partiti politici italiani visti attraverso i loro Statuti. Sin da questo primo intervento il giovane studioso si pone le questioni fondamentali del problema dei partiti nel sistema democratico, lamentando il «generale atteggiamento di disinteresse e di noncuranza» con cui si guarda alle norme che regolano la vita dei partiti sfuggendo l’importanza della «fisionomia istituzionale e politica di un partito»: esse sono «la concezione della disciplina in rapporto ai diritti e doveri degli iscritti»; «le maggiori o minori possibilità, in possesso di questi ultimi, per influire sulla designazione alle cariche pubbliche elettive». Seguiva un altro aspetto, tutt’altro che secondario, che veniva considerato in rapporto alla questione della disciplina inserita negli statuti sui gruppi parlamentari. Queste norme, nota Elia, «riguardano l’attività di iscritti al partito nella loro qualità di organi dello Stato. Siamo arrivati a un punto in cui il problema del rapporto tra ordinamento di partito e ordinamento statale si pone con tutta evidenza: un punto in cui bisognerebbe esaminare le norme che abbiamo sopra riportate confrontandole con l’art. 67 della Costituzione della Repubblica che vieta il mandato imperativo […] . La questione sarebbe un aspetto particolare del problema più vasto che abbraccia i rapporti tra l’ordinamento dei partiti e quello dello Stato (vedi articolo 49 della Costituzione)».

Come si può notare l’interesse per il tema del partito sta all’esordio stesso della sua presenza pubblica (che è qualcosa di più e parzialmente di diverso dalla sua attività di raffinato studioso). Il percorso di Elia lo avrebbe riportato più volte, come cercherò di esaminare, a misurarsi con la questione del ruolo dei partiti in generale e del partito in cui aveva scelto di militare in particolare, sicché questo tema può essere considerato davvero “chiave” per intendere tanto la sua presenza politica quanto il fecondo intrecciarsi di questa con la sua attività di studioso.

Ma prima di addentrarmi in questo esame e per spiegare il senso di questo percorso citerò la definizione che Elia diede di Mortati riflettendo nel 1990 sulla sua figura: «la ricchezza del discorso di Mortati sugli argomenti che abbiamo accennato è ancora utile per orientarsi nel difficile cammino delle riforme: ed anche quando le sue risposte appaiono legate ad una fase specifica della nostra storia costituzionale, esse sono sempre “sistemiche” e mai dettate da convenienze di parte o di principe. Giurista politico, sì: ma al servizio di tutto il sistema»4.

In realtà, come talora accade, parlando del Maestro l’autore parla di sé stesso e in effetti questa definizione si attaglia perfettamente a quello che volle essere e che fu Leopoldo Elia. Il suo «servizio al sistema» si basa, se non mi inganno, su una pervicace volontà di considerare il frutto della stagione costituente italiana come una «conquista», preparata da una certa sapienza degli studiosi di diritto, vivificata fra gli anni Settanta ed Ottanta da una ripresa di consapevolezza storiografica (una sensibilità la sua verso questi studi non proprio comune fra i giuristi), messa a repentaglio da una caduta di conoscenze critiche che aveva immiserito la classe politica e intellettuale italiana portandola pericolosamente a scherzare col fuoco.

 

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