Il boom industriale degli scorsi decenni è stato interrotto, a fasi alterne, dagli scossoni della Borsa, legata a doppio filo alle oscillazioni del carbon fossile. Oltre al petrolio, a preoccupare gli azionisti di tutto il mondo v’è stata la bolla immobiliare del 2006, scoppiata, come un bubbone infetto, il 15 settembre 2008. Dagli Stati Uniti, è dilagata in quasi tutto il mondo la crisi economica originata dai derivati dei subprime. Sono lontani i tempi dell’effimero miracolo economico, ben che mai “miracolo italiano”. 

Con la pandemia mondiale di Coronavirus del 2019 anche la mastodontica Cina industriale soffre dei suoi atavici mali, mal riuscendo a mantenere il boom economico e demografico che da Mao si è fatto strada. Ma il benessere cinese non è per tutti. Ora più di prima milioni di studenti, disoccupati, anziani e operai nelle città dei ratti (così vengono chiamati i quartieri fatiscenti costruiti nelle vecchie gallerie dismesse) cercano, sotto le metropoli, un affitto disponibile, dentro nicchie, tuguri, persino gabbie che possano fornire loro un riparo e un letto. La crisi degli immobili, con gli affitti saliti alle stelle, aumenta ancora di più il divario enorme che c’è tra ricchi e poveri. 

Mi vengono in mente gli slum dei meridionali che, nella periferia di Milano e delle altre città industriali del laborioso Settentrione, accoglievano famiglie di terroni disposti a tutto, alla ricerca di un impiego. Chi non riusciva ad ottenere un posto in fabbrica, finiva in strada, come venditore ambulante. Negli slum, come nelle baraccopoli, nelle bidonville, in spazi ristretti senza alcuna privacy interpersonale, ci si trova spesso a condividere le latrine. I bagni singoli spesso non esistono, l’acqua piovana viene spesso riciclata come acqua potabile. Le fognature sono assenti o fatiscenti. I liquami scorrono ammorbando con il fetore delle immondizie i pochi spazi salubri. In questi ambienti, febbre tifoide, colera ed altre malattie gravi riescono a proliferare. 

I nostri emigranti del Sud andavano nel Nord Italia con la speranza di trovare un riscatto sociale, un futuro per essi e per le loro famiglie, fuggendo da quelle terre natie tanto depauperate in secoli di sfruttamento, di illegalità, di assenza dello Stato, un tempo monarchico, in seguito democratico e repubblicano. Cosa hanno in comune gli slum di Milano con le città sotterranee cinesi? La stessa miseria, le stesse illusioni, le stesse “vite di scarto”. In entrambi i casi ci troviamo dinanzi al medesimo sottoproletariato che va ad aumentare i ranghi dell’esercito industriale, fedele ai propri doveri di carne da cannone, di operaio del capitalismo. Fedeli alla nuova narrazione dello Stato con il mito del lavoro. Imbruttiti di ieri e di oggi che costruiscono al benessere degli “altri”, i pochi eletti al vertice delle grandi metropoli industriali, assisi sui loro troni di denaro nelle città dei miracoli.