L’eterna giovinezza di Antoine

A 120 anni dalla nascita di de Saint-Exupéry

Articolo pubblicato dall’Osservatore Romano a firma di Enzo Romeo

I grandi autori della letteratura sono sempre giovani, perché le loro opere attraversano il tempo e hanno da dire qualcosa di attuale alla generazione presente. Così è per Antoine de Saint-Exupéry: a centovent’anni dalla nascita lo percepiamo ancora come un compagno di viaggio, un po’ mattarello e scavezzacollo, ma pieno di passione e di fuoco interiore, capace di guidarci su sentieri fascinosi alla scoperta del cuore umano.

Saint-Exupéry venne al mondo a Lione il 29 giugno 1900 da una famiglia di antico lignaggio. Il suo ambiente di provenienza era quello della piccola nobiltà di provincia, monarchica e cattolica, ormai in decadenza all’affacciarsi del nuovo secolo. A quattro anni perse il padre, morto improvvisamente per un ictus cerebrale, ma la sua fu comunque una fanciullezza serena, grazie soprattutto alla presenza di mamma Marie, donna profondamente religiosa e piena di carità, oltre che artisticamente sensibile. Fu proprio la magia dell’infanzia uno degli elementi di maggiore ispirazione per la letteratura e il pensiero di Saint-Exupéry. In Pilota di guerra (1942) scrisse che l’infanzia è il «grande territorio da dove ognuno è uscito».

Studiò presso i fratelli delle Scuole cristiane, i gesuiti e i padri marianisti, ma per lui, amante del volo, i “dogmi” religiosi erano zavorre che impedivano allo spirito di librarsi liberamente in aria. Servì da pilota nella linea Parigi-Dakar e fece l’esperienza di caposcalo in una sperduta località della costa atlantica, ai margini del Sahara. In Argentina avviò i primi collegamenti aerei con la Patagonia e conobbe la moglie Consuelo Suncin, che lo spronò a misurarsi con la narrativa. Sarà lei la rosa «unica al mondo» di cui prendersi cura, pur tra mille tradimenti e contraddizioni. Nel 1929 il successo di Corriere del Sud consacrò Saint-Exupéry scrittore, attività che non separò mai da quella di aviatore. Le molteplici e spesso drammatiche avventure di volo alimentarono la sua produzione letteraria, offrendo simboli e sostanza. Oltre ai racconti già citati, completano la sua produzione Volo di notte (1930), Terra degli uomini (1939) e Il Piccolo Principe (1943). Cittadella, narrazione elegiaca in cui si possono trovare tante metafore sull’uomo e su Dio, uscirà postumo nel 1948.

I suoi raid aerei esprimevano la voglia di innalzarsi sopra le cose, guardare tutto dall’alto e avere una visione purificata della vita. La Terra ritrovava un aspetto di armoniosa bellezza, riconciliata finalmente con il Cielo: «Le montagne, i temporali, le sabbie, ecco i miei dei familiari» (lettera a Nelly de Vogüé, 1937). I lunghi viaggi, specialmente di notte, erano un lavaggio dell’anima; sparivano i dettagli della superficie terrestre e rimaneva visibile solo la luce delle stelle; tutte le preoccupazioni che si credevano capitali pian piano erano cancellate.

La solitudine feconda del cielo si incrociò in Saint-Exupéry con quella altrettanto prolifica del deserto. Quando nel 1927 fu assegnato al piccolo scalo del Sahara poté fare la sua «cura di silenzio» (lettera a Henry de Ségogne), in un luogo dove ogni cosa aveva un significato differente e si diveniva quasi spiriti disincarnati. Un’esperienza trasferita nella favola de Il Piccolo Principe. Il dialogo tra l’ometto e il pilota avviene tra le dune, mentre cercano una sorgente a cui dissetarsi: «Che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile». Frase che rimanda all’altra, celeberrima: «L’essenziale è invisibile agli occhi». L’invito è a cercare la fonte d’acqua sorgiva nascosta da qualche parte nel nostro deserto personale.

Il deserto è anche il luogo in cui Saint-Exupéry scriveva per lunghe ore, seduto in una cella, simile a un monaco nella propria clausura. In effetti, amava il canto gregoriano e diceva di volersi ritirare un giorno nel monastero benedettino di Solesmes, nella Loira. Avvertiva inconsciamente che lì, e lì soltanto, c’era qualcosa di importante e di inesprimibile, capace di dare pienezza alla propria vita.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Saint-Exupéry prestò servizio come pilota ricognitore: non voleva uccidere ma sentiva il dovere di dare il proprio contributo alla patria minacciata dal nazismo. La capitolazione della Francia lo portò all’esilio volontario a New York, dove scrisse Il Piccolo Principe, tornando subito dopo al fronte, in Nord Africa. Nonostante i limiti di età, riuscì a entrare nella sua vecchia squadra di ricognizione aerea. Era cosciente di mettere a repentaglio la sua vita, anche per le condizioni fisiche rese precarie dai tanti incidenti subiti in carriera. Il suo amico comandante tentò invano di convincerlo a non volare; Saint-Exupéry spiegò di non poter restarsene in pantofole mentre in Francia chi leggeva i suoi scritti rischiava la deportazione. Aveva già visto negli occhi la morte e non aveva paura di affrontarla. «Morire non è niente quando si sa per chi si muore» disse. «Si muore per un popolo, per amore, per l’uomo». Il suo aereo fu abbattuto al largo di Marsiglia il 31 luglio 1944 e il suo corpo non fu mai ritrovato.

Negli ultimi anni di vita il conflitto bellico, la visione di un’umanità accecata dall’odio fratricida lo avevano portato a ripensare a quei valori — umani e religiosi — che erano stati il nutrimento della sua infanzia e giovinezza. Lasciati in un angolo, sebbene mai dimenticati, apparivano in quel frangente strumenti utili a salvare la civiltà minacciata dalla barbarie. In fondo, rifletteva, per cosa avevano offerto la vita i suoi compagni di pattuglia caduti in missione, se non per un certo gusto delle feste di Natale? «Il salvataggio di quel sapore, nel mondo, gli sembrava giustificare il sacrificio della loro vita. Se noi fossimo stati il Natale del mondo, il mondo si sarebbe salvato attraverso di noi» (Pilota di guerra, capitolo XXIV). E quando volle esprimere il concetto di responsabilità richiamò l’olocausto di Gesù, che si è sacrificato, pur innocente, per tutti: «Comprendo per la prima volta uno dei misteri della religione da cui è uscita la civiltà che io rivendico come mia: “Portare i peccati degli uomini…”. E ciascuno porta i peccati di tutti gli uomini» (ibidem).

Saint-Exupéry fu un esploratore dell’assoluto, alla ricerca di qualcosa che riempisse di senso l’esistenza. Se il “qualcosa” cercato dall’autore del Piccolo Principe fosse Dio, e in particolare il Dio dei cristiani, rimarrà per sempre un mistero. Di sicuro, il pilota-scrittore fu interprete delle inquietudini dell’uomo moderno, del suo nomadismo spirituale e di quella bellezza inafferrabile di cui avverte una profonda nostalgia.