Nel paese di Macchiavelli e Guicciardini il rapporto tra etica e politica ha sempre suscitato dibattiti emotivamente coinvolgenti. Tuttavia la distinzione tra gli approfondimenti teoretici e le applicazioni pratiche ha separato gli studi dalla realtà: di alto profilo i primi, tendenzialmente accomodante la seconda.

Ciclicamente quella che viene chiamata “giustizia ad orologeria” porta alla luce scandali o episodi di corruzione ma ciò avviene in particolar modo in prossimità delle tornate elettorali.

Fino a configurare una sorta di sistema che gestisce dazioni, tangenti, concussioni, peculato, voto di scambio ed altre peculiarità che descrivono una estesa ramificazione della politica clientelare (non necessariamente in senso partitico) che supera il concetto di casta, abbondantemente spiegato da G.A. Stella e S.Rizzo, poichè si estende a tutti i livelli di gestione della cosa pubblica, fino a diventare costume e prassi prevalente.

Quella classificazione duale – i potenti da una parte e la gente comune dall’altra – sembra superata dall’emergenza sempre più diffusa di legami, intrecci, appartenenze, cordate e congreghe che funzionano secondo un modello “a cascata” nel quale ognuno trova accomodamento e una parte di gratificazione personale, se vige la categoria della fedeltà e del vassallaggio morale.

In altri termini non sembra più sostenibile sotto il profilo della mera considerazione etica un gap tra paese reale e paese legale, tra istituzioni e popolo, tra partiti e gente comune: il fenomeno corruttivo è talmente pervasivo che favorisce l’intercambio interno al sistema per garantirne continuità anche di fronte ad una apparente alternanza. E’ in atto da tempo un salto di quantità in termini pervasivi del fenomeno e di qualità rispetto alla raffinatezza della commissione dei reati.

Ne consegue che non si tratta più di una prassi circoscritta ma di una deriva che si esplicita come consuetudine e mentalità e che riguarda il modus operandi prevalente sul piano istituzionale ad ogni suo livello e una sorta di regola non scritta che si allarga a macchia d’olio in tutti i gangli vitali della vita sociale.

In caso di inchieste l’innocenza fino a prova contraria è una tutela costituzionalmente garantita ma certamente disinibisce comportamenti svincolati da codici morali e consuetudini illecite e favorisce una certa disinvoltura anche negli intrecci tra vita pubblica e privata: di solito prevalgono i furbi sugli onesti.

Se una prassi diventa sistema diffuso e radicato non stupisce il venir meno delle categorie etiche e valoriali ad esempio nella scelta dei candidati, nel conferimento di incarichi o nella difesa degli inquisiti e ciò riguarda ormai lo stesso sentire comune.

Tutto ciò comporta un decadimento di valori tramandati e consolidati sul piano etico e culturale (se etica e cultura servono anche per nobilitare i comportamenti individuali e sociali, per ispirare quella che un tempo veniva definita “rettitudine”), l’emergenza di una cultura prassica ed utilitaristica (si fa ciò che serve piuttosto ciò che è lecito), un diffuso senso di impunità poiché è il “sistema” stesso che garantisce protezioni nelle sue articolate gerarchie.

Non è un fenomeno solo italiano ma prevalentemente italiano.

Il recente Rapporto dell’ISTAT sul nostro senso civico ci descrive accomodanti, tendenzialmente evasivi rispetto a norme e regole, superficiali ed inclini a trovare sempre attenuanti e giustificazioni alle loro violazioni. In Italia in fondo molto si imbroglia ma alla fine tutto si aggiusta.

In genere siamo portati a dare una spiegazione solo economica e strutturale a fenomeni come l’evasione fiscale, il deficit e il debito pubblico, visti in un’ottica oggettiva dimenticando che – disaggregando i dati o cercando di risalire alle motivazioni che ispirano le azioni- le decisioni politiche dovrebbero sempre poggiare su una base etica. Anche per fornire esempi corretti ai comportamenti individuali e sociali.

Ci sono Paesi dove le carriere politiche finiscono per reati che noi valutiamo con sufficienza se non con indulgente benevolenza: copiare una tesi di laurea, molestare anche a parole una donna, ingannare il fisco.

Una delle ragioni del declino italiano consiste proprio in questo lento, graduale ma incessante venir meno del senso civico e nella perdita del significato di “bene comune”.

Un tema di cui dovrebbe occuparsi la politica riguarda la semplificazione burocratica e lo sfoltimento delle leggi, ancora prima della redistribuzione del reddito e dell’ingegneria sociale.

La corruzione si attenua nei Paesi dove la giustizia funziona e la politica si occupa di sostenibilità sociale: unicuique suum ci insegna un precetto fondamentale del diritto romano.

La tripartizione del potere di cui argomenta Montesquieu nel suo “L’esprit de lois”(1748) è il principio fondativo su cui si reggono i rapporti e le competenze delle istituzioni nelle società moderne, principio peraltro assunto e fatto proprio nella nostra Costituzione Repubblicana proprio 200 anni dopo.

Purtroppo una delle ragioni dell’impantanamento istituzionale e sociale del nostro tempo si spiega attraverso gli intrecci e le collusioni tra poteri che dovrebbero essere indipendenti tra loro e con la violazione del patto sociale che dovrebbe garantire la sostenibilità del sistema.

Ne consegue che a monte di tutta questa congerie di prebende, favori, raccomandazioni, ingiustizie sociali, corruttele nella gestione della cosa pubblica sta– anzi starebbe, visto che non si fa – il problema di un radicale rinnovamento della classe dirigente.

Ma se il sistema è “marcio” e incancrenito dalla violazione delle norme e delle regole che dovrebbero garantire la coesione e la pace sociale, chi potrebbe occuparsi di selezionare gli onesti?