L’elezione plebiscitaria di Enrico Letta alla guida del Partito Democratico smentisce l’aforisma del mio maestro Carlo Donat Cattin: “è sempre il cane che muove la coda”, riferendosi a quei DC che avevano tentato al suo tempo di entrare nel PCI. No, stavolta, con Letta, come ha lucidamente osservato Gianfranco Rotondi, è avvenuto il contrario: la vecchia sinistra DC, soprattutto quella della Base e morotea, col pupillo di Andreatta e dell’AREL, ha assunto il comando di quello che fu il partito di Togliatti, Longo e Berlinguer, squassato dal gioco al massacro di correnti e consorterie che hanno indotto l’ex segretario Zingaretti a “vergognarsi” del suo partito. Pur dimenticando il ruolo giocato da Franco Marini, già capo della mia corrente DC di Forze Nuove, nella nascita del PD, Letta è la dimostrazione palese che, alla fine, per rimettere ordine, “l’amalgama riuscita male”( D’Alema) di quel partito, ancora a un ex DC ha dovuto affidarsi, come già fece con la segreteria di passaggio di Dario Franceschini, dopo l’uscita di Veltroni, il ministro che anche stavolta è stato uno dei player al caminetto dei democratici.

Ho seguito in streaming il discorso di Letta di domenica scorsa, trovando integra la sua formazione cattolico democratica, condita dai riferimenti ala dottrina sociale di Papa Francesco, ai concetti della sussidiarietà e della solidarietà, sino all’annuncio di una proposta politica per la compartecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende. Un richiamo a teorie care alla scuola storica economico sociale di matrice fanfaniana e a molti di noi della sinistra sociale DC. Credo che molte idee del programma esposte da Letta siano del tutto compatibili con molte delle nostre che, dal seminario di Sant’Anselmo (2013) e di Camaldoli (2017), come DC guidati da Gianni Fontana, avevamo esposto per porle alla base del patrimonio programmatico della nostra area politico culturale. Netta l’alternativa alla destra populista e  nazionalista come quella anche da noi DC e componenti della Federazione Popolare DC sempre condivisa. Importante l’impegno a superare la formazione delle liste elettorali di “nominati” dai capi partito, come la volontà di dare pratica attuazione all’art.49 della Costituzione in materia di democrazia interna dei partiti, e il superamento, nei limiti costituzionali, del fenomeno indecente del trasformismo parlamentare che, in questa terza repubblica, ha assunto i caratteri patologici di una vera e propria transumanza permanente per interessi esclusivamente personali. 

Meno accettabile la precisazione fatta domenica sera alla sua prima intervista TV, a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, circa la sua preferenza per sistemi elettorali maggioritari, al massimo temperati nella versione del “mattarellum”, invenzione di fine corsa DC, dell’allora politico a tutto tondo, Sergio Mattarella. Su questo punto, nonostante la differenza immediatamente accentuata con la proposta dello ius soli con la Lega, l’indicazione del neo segretario PD fa il paio con l’interesse concomitante di Matteo Salvini per un sistema forzatamente bipolare, che veda come protagonisti assoluti: la Lega a destra e il PD a sinistra.  L’esperienza fatta in questi anni dal 1993 al 2005, poi sostituita dal “porcellum” e dal tuttora vigente “rosatellum”, ha dimostrato la velleità di dare garanzia di stabilità al sistema politico in forza di una legge elettorale maggioritaria. L’esperienza storico politica italiana, per le modalità dello sviluppo capitalistico nel nostro Paese, e dello stesso processo di unità nazionale, molto più simile a quella della Germania che della Francia e agli antipodi di quella inglese, suggerisce di adottare il proporzionale per definire esattamente natura e consistenza delle forze politiche e culturali in campo. In una fase nella quale, grazie al governo Draghi, stiamo assistendo alla scomposizione e, in taluni casi, al superamento di molti attori della lunga stagione post democristiana, noi DC e Popolari crediamo sia necessario tornare al proporzionale con sbarramento al 4-5%, le preferenze e con l’istituto della sfiducia costruttiva, con il quale, come accade in Germania, è possibile arginare i rischi di ingovernabilità, che nemmeno il maggioritario nelle diverse versioni tentate, è riuscito a realizzare. Serve, in ogni caso, accelerare il processo avviato di ricomposizione della nostra area sociale,  culturale e politica, premessa indispensabile per avviare dal centro e in periferia un confronto serio con le altre forze politiche, a partire da quelle che, come noi, intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. La guida di Enrico Letta del PD costituisce una garanzia di un confronto politico possibile per il bene del nostro Paese.